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Zanetti: “Mai pensato di lasciare l’Inter. Facchetti un esempio, Marotta alzerà il livello”

Le parole del vice presidente nerazzurro

Fabio Alampi

Calciatore, capitano e bandiera prima, dirigente oggi, sempre al servizio dell'Inter. La storia di Javier Zanetti in nerazzurro dura ormai da più di 20 anni, prima sul campo e oggi dietro a una scrivania, in qualità di vice presidente e ambasciatore interista nel mondo. In un'intervista al Corriere della Sera, Zanetti ha parlato dei contenuti del suo nuovo libro ("Vincere ma non solo. Crescere nella vita e raggiungere i propri obiettivi") e del suo ruolo all'interno dell'Inter.

Cosa significa essere capitano e leader? Come si intrecciano i due ruoli?

Il leader lo riconosci dall'esempio, per il modo di lavorare. Rispettano la leadership se uno fa vedere quel che è.

Altro passo: il campione non può essere egoista. Però l'indole del campione non è esattamente quella?

Il campione è leader a volte, ma deve essere d'esempio e solidale. L'egoismo ti toglie queste qualità. Quando vedo calciatori che non si fermano a firmare gli autografi o a fare una foto mi fa tristezza.

Più difficile per Zanetti gestire la vittoria o la sconfitta?

Nella difficoltà cerco qualcosa per ripartire. La vittoria è pericolosa, tendi a rilassarti, però nell'anno del Triplete con Mou era impossibile rilassarsi.

Lei ha passato tre presidenti. Non ha mai pensato di andare in un altro club?

No. Volevo esserci perché faccio parte del dna dell'Inter. Pensavo di poter aiutare nei vari passaggi. Ora siamo tornati in Champions, ma è una partenza per puntare in alto.

Racconta di Mou e Bielsa. Spalletti come lo giudica?

Preparato. Ha dato un'impronta e continuità. Ora cerca sempre di alzare il livello.

Stare accanto allo Zanetti dirigente è difficile?

Credo sia giusto pretendere, ma mettendo le persone a loro agio. In ufficio all'Inter dico sempre: "Il vero termometro non è l’ultimo piano di noi dirigenti, ma quelli sotto". Se vogliamo capire come stiamo andando bisogna parlare con chi sta ai piani più in basso.

Si sente vicino a Facchetti?

È sempre stato un riferimento. Parlava poco, ma la sua personalità la trasmetteva solo guardandoti.

È dura smettere di giocare?

La cosa più difficile è pensare: ora che faccio? Potevo fare altri due anni, ma è meglio smettere quando sei al top e non vedere chi ti è attorno che non ha il coraggio di dirti che non ce la fai più.

Cosa porterà Marotta?

Rafforzerà la dirigenza. Certe figure fanno alzare il livello.

(L'intervista completa sull'edizione odierna del Corriere della Sera)

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