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Beccantini: «Juventus vile. Ma più che “cupola” era una…»

Un pezzo del giornalista Roberto Beccantini su Il fatto quotidiano di oggi si sofferma sulla sentenza di Napoli. Da ricordare che il giornalista è torinese ed è stato per tantissimi anni vicino all’ambiente bianconero. Le sue parole: «Il...

Lorenzo Roca

Un pezzo del giornalista Roberto Beccantini su Il fatto quotidiano di oggi si sofferma sulla sentenza di Napoli. Da ricordare che il giornalista è torinese ed è stato per tantissimi anni vicino all'ambiente bianconero. Le sue parole: «Il mio pronostico era: frode sportiva, ma non associazio- ne a delinquere. Cambia tanto, e comunque “rispetto” la col- pevolezza di Luciano Moggi, visto che nei confronti della “Biade” juventina siamo già al terzo indizio: giustizia sporti- va, rito abbreviato (Antonio Giraudo), primo grado di Na- poli. Non credo nemmeno all'ennesimo complotto. Fino alle otto di martedì sera, il giudice Teresa Casoria rappresentava – per il popolo juventino e, dunque, per mezza Italia – il simbolo della giustizia vera, l'incarnazione del processo corretto. Dopo la lettura del verdetto, per quello stesso popolo e per quella stessa metà, è diventata la carnefice di Moggi. In questi casi, i cittadini di un Paese normale attendono le motivazioni, e poi cominciano a sparare, o a spararsi. Da noi no: ci si spara subito. Abbasso il complottismo, dunque, ma evviva i dubbi. Non giustifico il sistema Moggi, ma restano fior di misteri: l'esclusione, scandalosa, di Carraro, all'epoca dei fatti gestore distratto, molto distratto, di tutto il circo; l'uscita di Giuseppe Narducci sulle telefonate di Moratti e Facchetti; le bobine e i baffi trascurati o scartati dal tenente colonnello Auricchio; lo spionaggio illegale di Telecom; l’atto d’accusa del superprocuratore Palazzi contro l’Inter, il cui percorso netto a livello disciplinare non può non sollevare qualche sorriso, dal momento che, senza prescrizione, dentro al calderone ci sarebbe finita anche lei: altro che scudetto a tavolino.Detesto i comodi alibi del “così fan tutti”. Negli anni di Calciopoli così facevano molti, non tutti. E più di tutti, faceva Moggi. Per questo, ritengo doveroso un podio delle responsabilità, ma più che nel cuore di una organizzazione che teneva sotto scacco i campionati, mi sembrava di essere capitato nel bel mezzo di una guerra per bande: peccato che alcune di esse siano state tenute fuori dai tribunali. Non ho capito, per concludere, lo smarcamento della Juventus, al di là del salvacondotto offertole dal verdetto. Scaricare Moggi perché era “solo” direttore generale è viltà pura, anche se alle tasche conviene»