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Mazzola: “Meazza, Herrera, Moggi, Nereo Rocco, vi racconto tutto”

La lunga intervista dell'ex giocatore nerazzurro che ripercorre la sua carriera calcistica

Gianni Pampinella

In una lunga intervista per il Corriere della Sera, Sandro Mazzola racconta la sua vita calcistica. Dalla morte del padre nel tragico schianto di Superga dove persero la vita quasi tutti i giocatori del Grande Torino, fino all'incontro con Giuseppe Meazza.

SUPERGA: "Nessuno mi disse nulla. La compagna di mio padre mi rapì e mi affidò a una coppia di amici, che viveva in un mulino. Non ho mai capito se fosse per avere l’eredità, o per tenere con sé un pezzo del suo uomo. Mia mamma Emilia chiese aiuto ai carabinieri e ai tifosi del Toro, che battevano le campagne per cercarmi. Mi trovarono dopo un mese e mi riportarono a casa. Scoprii solo allora che avevo un fratello. Si chiamava Ferruccio, come il presidente".

ARRIVO ALL'INTER: "Grazie a Benito Lorenzi, detto Veleno. Personaggio da romanzo. Cattolicissimo, non perdeva una messa. Buono d’animo, terribile in campo. Provocava Boniperti chiamandolo Marisa, con Charles metteva in dubbio la moralità della regina. Prese me e mio fratello sotto la sua protezione: entravamo a San Siro vestiti da Inter, ci sedevamo accanto alla panchina. Se l’Inter vinceva, Lorenzi faceva dare anche a noi le 30 mila lire di premio partita".

MEAZZA: "Una volta urlai dietro a un compagno che non mi passava la palla. Meazza a fine partita mi chiama e mi fa: “Pastina, mi ho vinciü dü campionà del mund, e ho mai vusà dré a un me compagn. Se te ciapi un’altra volta, ti te giughet pü”; se ti becco ancora, non giochi più".

HERRERA E LA PASTIGLIA NEL CAFFE' E LA DENUNCIA DEL FRATELLO FERRUCCIO: "È vero. Ci dava una pastiglietta, che noi sputavamo. Così cominciò a scioglierla nel caffè. Non ne sentivo alcun bisogno, ma erano pratiche correnti nel calcio dell’epoca. Ferruccio aveva motivi di rivalsa nei confronti dell’Inter. Prima che morisse ci siamo riconciliati, ridendone. Il vero doping del Mago era psicologico.Nello spogliatoio e diceva: “Oggi si vince facile. Quelli non sono nessuno. Il terzino è lento, il mediano è un brocco...”. Prima della finale del ‘65 col Benfica ci convinse che Eusebio, uno che ha segnato più di 700 gol, fosse una pippa".

NEREO ROCCO: "Sì. Ne parlammo all’Assassino, il suo ristorante preferito. Ma all’Inter non mi presero sul serio: “E noi chiediamo Rivera”. Comunque Rocco mi stimava, a modo suo. In un derby segnai al primo minuto, ed esultai davanti a lui urlando: “Ciao paron!”. Mi mise Trapattoni a uomo, e non toccai più palla. Alla fine si avvicinò e mi disse: “Ciao mona!”"

MOGGI: "Un genio. Ruppi con Massimo Moratti perché mi ero accorto che Moggi era diventato il suo consigliere: gli dava dritte interessate sui calciatori da prendere, gli faceva credere che sarebbe venuto all’Inter".

(Corriere della Sera)