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Zanetti: “Tutti mi chiamano ancora capitano. Quando sono arrivato all’Inter ai miei…”

Zanetti: “Tutti mi chiamano ancora capitano. Quando sono arrivato all’Inter ai miei…”

Il vice presidente nerazzurro è stato intervistato da Verissimo e ha parlato della sua carriera e della sua famiglia oltre che del suo amore per i colori interisti

Eva A. Provenzano

«Non mi aspettavo di partire dall'Argentina e arrivare a giocare subito nell'Inter e l'Inter è diventata la mia famiglia, sul profilo umano ha sempre un occhio di riguardo per questo ed è per questo che sono ancora qui». A Verissimo, Javier Zanetti, il vice presidente nerazzurro, ha parlato della sua carriera, del suo addio all'Argentina, del suo approdo a Milano, di tutto quello che è successo con la maglia nerazzurra addosso. Una storia che i tifosi interisti amano molto, di giorni di sofferenza e di vittorie, belle, indimenticabili, come una scalata dell'Everest in cui tocchi la cima e urli che è lì, esattamente lì che volevi essere. E ci sei arrivato per davvero.

«L'addio? Volevo che quella notte non finisse più, ho dormito pochissimo, sapevo che sarebbe stata una grande emozione. C'era la mia famiglia, c'erano tutti i miei tifosi e tutto quell'amore resterà sempre nel mio cuore», ha aggiunto. E poi ha risposto anche ad altre curiosità di Silvia Toffanin che lo ha intervistato:

-Quali sono i tuoi soprannomi?

El Tractor è quello che avevo quando sono arrivato all'Inter. Pupi per la mia fondazione, il capitano e tutti mi chiamano così ancora oggi, diciamo che nessuno mi chiama vice presidente, ma va bene così (sorride.ndr). 

-So che giri sempre con un pantalone di ricambio... 

I muscoli delle gambe a volte mi fanno brutti scherzi e i pantaloni si strappano: diciamo che bisogna sempre avere un piano b. 

-Sei anche un uomo molto umile...

Credo che l'umiltà sia fondamentale, sia importante la cultura del lavoro. Sognavo la carriera da calciatore ma aiutavo papà che faceva il muratore. E lui mi ha chiesto cosa volevo fare da grande e da lì è stata una spinta importante, lui e mia mamma mi hanno dato la spinta, hanno fatto tanti sacrifici per aiutare me e mio fratello e la vittoria più grande è stato quando gli ho detto che potevano smettere di lavorare, che ero diventato un giocatore professionista e potevano godersi la vita insieme a me. 

L'ho avuto perché appena nato ho rischiato di morire e allora la mia mamma mi ha chiamato Adelmar come si chiamava il dottore che mi ha salvato la vita. Mi piaceva la squadra, ero preciso, come adesso. Il mio grembiule era sempre impeccabile perché mia mamma era precisissima. Facevo subito i compiti così poi avevo più tempo per giocare a calcio.

-La mamma ora non c'è più...

Dopo la finale che ho giocato con l'Inter in Coppa Italia. In mezzo ai festeggiamenti mi ha lasciato un messaggio in cui diceva che era orgoglioso di me, era l'ultima volta che sentivo la sua voce. Il giorno dopo mi ha chiamato papà e mi ha detto che non c'era più. E' stato un giorno tristissimo perché ero lontano e non ho potuto parlarle. Sono partito per l'Argentina per abbracciare mio papà insieme a mio fratello. Mia mamma non c'è più ma è sempre con me. 

-Avresti voluto dirle qualcos'altro?

Credo fosse un rapporto con tanto amore. Quando sono arrivato in Italia loro sono venuti con me e sono stati fondamentali, tutte le volte che tornavo dagli allenamenti, vederli a casa, prendevamo il mate, ed è stato sempre un rapporto bellissimo. Poi loro sono tornati in Argentina dove si sentivano a casa giustamente e io tornavo quando potevo e li sentivo spesso. Quella sera lì non ci siamo sentiti, ma ho la sua voce e il suo bellissimo messaggio che resta nel mio cuore sempre. Papà è di origini italiane, lui mi ha spronato: ero tifoso dell'Independiente e un allenatore mi disse che ero gracile e non crescevo, ero bambino e sono stato deluso dalla squadra che tifavo. Papà mi ha detto di riprovarci. 

-E Paula... 

Abbiamo compiuto ventisei anni di fidanzamento. Io mi allenavo e lei giocava a basket ed andavo a vedere gli allenamenti e ho conosciuto Paula tramite un amico e lì è cominciato tutto e gli ho portato sotto casa lo striscione "Paula te amo", mi hanno aiutato alcuni amici a farlo e quando lei è andata a scuola ha trovato lo striscione. Ma a lei non piacciono queste cose, era contenta, ma ho dovuto toglierlo subito. Ce l'abbiamo a casa insieme a tutti i nostri ricordi. Tutta la storia della mia vita dentro al nostro museo, abbiamo tante foto. C'è un museo a casa nostra... Come gli ho chiesto di sposarmi? Conoscendo Paula sono andato sulla semplicità. E' stata una festa durata fino all'alba, è stato bellissimo, c'erano tutti i nostri amici. 

-Il ciuffo invece è sempre uguale... 

Sono nato così... non uso nulla, neanche il phon. Solo i miei figli possono toccare i capelli. Perché papà mi diceva sempre che se hai i capelli a posto e le scarpe lucide, quella è la tua personalità. I miei figli invece vogliono la cresta. E io rido: "Come la cresta?". Va beh... cresceranno... 

-Credo che tu sia stato espulso solo due volte in 25 anni di calcio... 

E' una cosa simpatica perché una di queste volte, quando l'arbitro faceva fatica ad espellermi, gli ho dato la mano e sono andato via perché diceva "ma proprio io ti devo espellere...". E' stato simpatico. I miei valori sono il rispetto in campo per i miei avversari e i miei compagni. Siamo l'esempio per tanti bambini e abbiamo una grande responsabilità. Falli si e una volta soprattutto all'inizio ho litigato con un allenatore, Hodgson, che mi ha tolto in finale ma stavo giocando bene, il cambio era perché andavamo ai rigori. Io ho urlato tanto, lui di più e ho sbagliato io quella volta. 

-Il figlio di Totti ha aiutato un avversario ed è stato un bell'esempio... 

Conosco Christian, siamo amici con Francesco e vedere i figli con questi valori è bello. Speriamo che in tanti possano prendere lui ad esempio. 

-Nel tuo nuovo libro parli della tua nuova vita da dirigente... 

Sono contento del mio nuovo percorso, del lavoro che stiamo facendo per la valorizzazione del brand dell'Inter. Sono andato alla Bocconi per prepararmi, conosco un altro aspetto del calcio. Non so se il presidente lo ha ancora letto il libro, gli ho raccontato di cosa si trattava e lui ci tiene molto. Il messaggio che voglio trasmettere è quello dei valori, lo dico sempre anche ai dirigenti della società, oltre alla competenza servono i valori umani per fare la differenza, questo mi ha aiutato come giocatore e mi sta aiutando come dirigente. 

-Facevi da psicologo nello spogliatoio?

Ero un capitano a cui piaceva il dialogo e quando c'era un problema lo affrontavamo tutti insieme, quando c'è un lungo periodo negativo si fanno delle riunioni, si parlava e si ascoltava gli altri e si decideva per il bene della squadra. Scherzi? Tanti ne ho fatti. Specie a Nagatomo che l'ho fatto anche cantare e ballare sulla panchina dello spogliatoio, non poteva dire niente, era appena arrivato. Siamo grandi amici, i giapponesi sono molto rispettosi. 

-Il sogno per domani? 

 

Intanto speriamo che vinca l'Inter. Soprattutto sogno che i miei figli possano avere un bel futuro. 

 

(Fonte: Verissimo)

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