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FCIN1908 – CALCIOPOLI PARTE 8. CATALANOTTI: “PROCESSO ARRIVATO DEFUNTO IN CASSAZIONE: L’OBIETTIVO ERA LA PRESCRIZIONE. LE ANOMALIE…”

Una corsa contro il tempo. E contro la prescrizione, voluta e cercata non solo dagli imputati che ne hanno poi maggiormente beneficiato. Questa ottava e ultima parte si chiude con le anomalie che hanno segnato pesantemente il processo di...

Sabine Bertagna

Una corsa contro il tempo. E contro la prescrizione, voluta e cercata non solo dagli imputati che ne hanno poi maggiormente beneficiato. Questa ottava e ultima parte si chiude con le anomalie che hanno segnato pesantemente il processo di Calciopoli, a partire dall'incredibile estromissione delle parti civili contro la quale l'Avvocato Bruno Catalanotti si è opposto con forza ed efficacia ottenendone l'annullamento. Ma questo processo ha mostrato numerosi punti d'ombra, alcuni inspiegabili. Il procedimento disciplinare contro la Casoria con la conseguente ostilità fra giudici contribuì ad evidenziare quanto poco sereno fosse il clima che si respirava. E poi le lungaggini, volute e cercate. La prescrizione ha dei colpevoli e Catalanotti li smaschera. In una fase particolare del processo, quella che diede vita al famoso movimento revisionistico ampiamente cavalcato dagli organi di informazione, venne concessa la possibilità agli imputati di portare nel processo trascrizioni in forma peritale di intercettazioni telefoniche. Trascrizioni non contestualizzate e nemmeno pertinenti. Questo portò ad aggiungere ai mesi di dibattito altri lunghi mesi di dibattito per un totale di tre anni (!) di dibattimento e un obiettivo raggiunto: la prescrizione. Mentre la stampa si beava di finte novità legate a Calciopoli, il processo si trascinava e perdeva del tempo prezioso. In questo capitolo, senza voler anticipare troppo di quanto perfettamente enunciato da Catalanotti, ci sarà spazio anche per le anomalie della sentenza e per l'incredibile assoluzione della Juventus dagli oneri risarcitori, pur avendo la società bianconera beneficiato di risultati a suo favore in cinque partite giudicate alterate. Particolari che ricostruiscono un mosaico complicato, che grazie a Catalanotti ritrova la sua vera anima. 8 puntate che ristabiliscono l'ordine delle cose e che ci restituiscono un Vademecum essenziale sulla vicenda Calciopoli. Un Vademecum che tutti, ma proprio tutti, dovrebbero leggere.

(leggi qui il 2° capitolo   -  L'ALTERAZIONE DEI RISULTATI E DEI SORTEGGI)

(leggi qui il 5° capitolo - IL SALVATAGGIO DELLA FIORENTINA E DELLA LAZIO)

 

3.  L’esclusione delle parti civili decisa dal Tribunale di Napoli  con ordinanza del 24 marzo 2009. L'annullamento dell'”abnorme”ordinanza da  parte della Corte di Cassazione.  

 

Il 24 marzo 2009 all'esito della prima udienza, il Tribunale di Napoli (Presidente: dott.ssa Casoria) ha emesso una ordinanza sconvolgente: con essa veniva disposta l'esclusione dalle parti civili in forza di un supposto principio di economia processuale non vigente in subjecta materia.

Nel provvedimento collegiale si affermava che “se è vero che la titolarità dell’azione riparatoria va tendenzialmente [sic] riconosciuta al civilmente danneggiato, indipendentemente dalla circostanza che questi sia anche soggetto passivo del reato, non di meno  -sempre tenuto nel massimo conto le circostanze particolari del caso concreto-  è quanto meno non conforme a criterio di economia processuale identificare il danneggiato con qualunque titolare di un interesse leso astraendo tale giudizio dagli interessi immediatamente protetti dalla norma penale.”.

In altri termini, il Tribunale si arrogava il potere di esclusione del danneggiato dal reato (come tale, costituitosi parte civile), nel caso in cui, tenuto conto delle “circostanze particolari del caso concreto”, sia  “non conforme a criterio di economia processuale identificare il danneggiato con qualunque titolare di un interesse leso astraendo tale giudizio dagli interessi immediatamente protetti dalla norma penale.”.

Sennonché, nessuna disposizione di legge prevede, in relazione a  supposte ragioni di celerità e speditezza del processo, l’esclusione della parte civile, che non sia anche soggetto passivo del reato e, quindi, titolare degli “interessi immediatamente tutelati dalla norma penale”.

Tale siffatto ulteriore requisito di legittimazione per l’ingresso e per la permanenza della parte civile nel processo penale è del tutto estraneo allo statuto dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale.

La  Corte di  Cassazione (III sezione, Presidente: dott. Pierluigi Onorato) a seguito del ricorso ex art. 111 n.7 Cost. di alcune parti civili (Brescia, Bologna, Avvocatura dello Stato, RAI-TV,  Atalanta, ecc.) il 9 luglio 2009 ha annullato il provvedimento, “bollato” severamente come abnorme.

Secondo la Corte Regolatrice il provvedimento del Tribunale è stato reso ”al di fuori dei parametri consentiti” e “si presenta caratterizzato da un contenuto di tale assoluta singolarità, tanto da porsi in posizione extravagante (in senso etimologico) rispetto al sistema ordinamentale ed al diritto positivo.”

Nel caso in esame, rileva la Suprema Corte, “il Tribunale ha esercitato arbitrariamente il suo potere di esclusione dal processo delle parti civili, nonostante la riconosciuta positiva ricorrenza dei necessari requisiti di legittimazione attiva delle stesse e pur in difetto di ragioni ostative di natura formale”, attingendo “ad una autoreferenziale valutazione di non meglio precisate circostanze particolari del caso concreto e ad un soggettivo parametro di conformità al criterio di economia processuale.”

Il Tribunale, argomentando che “il danneggiato non vanta un inalienabile diritto ad essere parte nel processo penale, in quanto la relativa tutela può essere efficacemente svolta anche nella sede  propria civile” (…) “ si è arrogata una facoltà che nessuna norma gli riconosce: quella di stabilire (in base a pretese ragioni di economia processuale, sia pure collegate a imprecisate circostanze del caso concreto) se il danneggiato debba esercitare l’azione civile nel processo penale ovvero nella sede civile” (v. sentenza della Corte di Cassazione 09/07/2009-09/10/2009;  pag. 11-13).    

Superfluo dire che l’abnorme ordinanza del Tribunale di Napoli ha influenzato il corso del processo, costringendo le più diligenti (“quorum ego”) delle parti civili ricorrenti a tre mesi di intensa, logorante opera per rimuoverne gli assurdi effetti e, nel contempo, evitare che l’auspicato, eventuale esito favorevole del giudizio fosse, comunque,  reso inutile dall’impietosa legge del tempo.

Non è dubbio, invero, che la riammissione accettata preventivamente nel ricorso dalle parti civili allo stato degli atti, non sarebbe stata utile ove il giudizio si fossa protratto a lungo.

La   sua durata,  grazie alla sensibilità dei Giudici della Corte, fu, invece, contenuta in un periodo assai breve (24 marzo-9 luglio 2009).

Purtuttavia, la partecipazione al giudizio fu interdetta al Brescia Calcio ed agli altri  compagni di sventura, per quasi sette mesi  (dal 24 marzo al 13 ottobre 2009) e per ben otto udienze (21 aprile, 5, 15, 19 e 26 maggio, 16 e 30 giugno 2009, 10 luglio), con intuibili pregiudizi delle facoltà difensive.

Pregiudizi non elisi, ma appena attenuati, dal provvedimento di rimessione in termini adottato dal Tribunale all’udienza del 20 ottobre 2009, che ha concesso alle parti civili riammesse ed ai responsabili civili  di richiedere entro la successiva udienza  l’ammissione di mezzi di prova e l’eventuale nuova citazione dei testi del Pubblico Ministero già escussi, alla condizione, certamente ed arbitrariamente limitativa, che “le parti interessate adducano il concreto interesse ad effettuarne il controesame.”

Eppure il Tribunale aveva avuto, prima che la Cassazione si pronunciasse, la possibilità di rimediare prontamente al malfatto.

 

Questa parte civile, infatti, il 20 aprile 2009 propose al Tribunale motivata istanza di revoca del provvedimento, fondata in fatto sulla considerazione che, allo spirare del termine per la impugnazione dell’ordinanza, soltanto nove delle parti civili  escluse avevano depositato il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost.; tanto da poter considerare realizzato, in conseguenza delle intervenute estromissioni, l’effetto deflattivo, quello, cioè, di liberare il processo dalla ingombrante presenza di plurime parti private; effetto …..generosamente indicato come unica ragione dell’abnorme decisione.

Senonchè la richiesta fu sbrigativamente rigettata dal primo Giudice con motivazioni  apparenti e di mero stile, sintomatiche della certezza del Tribunale circa la inoppugnabilità della sua decisione.

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Dopo lo ”schiaffo”  del Giudice di legittimità ci si attendeva una dichiarazione di astensione da parte del Collegio (anche nella sua intera composizione) da più parti, peraltro, sollecitato, soprattutto dopo che la dott,ssa Casoria aveva dichiarato in pubblica udienza che avrebbe ottemperato obtorto collo alla decisione della Cassazione. .

 

Ciò non è accaduto.

 

Pertanto, Atalanta e Brescia nel luglio 2009 e persino il Procuratore della Repubblica di Napoli (secondo caso negli ultimi cinquant'anni, rilevano gli ...storici delle vicende giudiziarie napoletane) nel settembre successivo, depositavano formali dichiarazioni di ricusazione, dichiarate inammissibili  dalla Corte territoriale.

 

Contemporaneamente, ed anche successivamente, veniva resa pubblica la anomala situazione, aggravata da conflitti interni al Collegio provocati dal procedimento disciplinare promosso contro la dott.ssa Casoria.

                                                                                               -

4. Il  procedimento disciplinare promosso contro la dott.ssa Casoria

 

Il procedimento in questione celebrato avanti alla sezione disciplinare del C.S.M.  -e conclusosi con la irrogazione della censura, confermata dalla Corte di Cassazione- era connotato dal fatto che tra le parti offese dalle intemperanze del Presidente dott.ssa Casoria, in epoca antecedente al processo di “calciopoli”, vi erano entrambe le due Giudici a latere  -dott.sse Gualtieri e Pandolfi-  che vennero anche sentite come testi a carico, insieme con il dott. Narducci ed il dott. Capuano, entrambi P.M. di udienza nel detto processo.

Inutile descrivere il clima conflittuale, in cui operava il Collegio, essendo intuibile la situazione di pesante ostilità esistente tra i Giudici, peraltro agevolmente percepibile da coloro che  partecipavano  al processo secondo le proprie funzioni ed i propri ruoli; tanto che le difese delle parti civili si sono chieste se una siffatta “collegialità” fosse in linea con le norme.

Fatto sta che le conseguenze di tale situazione si sono subito manifestate ed hanno inciso, come si vedrà, sul processo.

                                                                                           *

5.  Le trascrizioni  in forma peritale di  conversazioni captate di irrilevante significato. Come si è giunti alla prescrizione.

 

Assenti le parti civili, per la sciagurata ordinanza di cui si è detto, all’esito della discussione sull’ammissione delle prove, il Tribunale, nel risolvere un conflitto tra P.M. e difensori, ha assecondato le richieste di questi ultimi, a proposito delle trascrizioni peritali di “non so quante” conversazioni, per lo più dal tenore non specificato.

L’ordinanza ammissiva, così recitava: “…... L’imputato ha diritto a che venga trascritto tutto ciò che non è manifestamente irrilevante, e nella presente fase di ammissione delle prove, il Collegio, ignaro del contenuto e dello sviluppo delle indagini, è ben poco attrezzato cognitivamente per la specifica delibazione, né la selezione dei risultati delle intercettazioni può avvenire con applicazione di norme diverse da quelle generali sull’ammissione della prova”.

Orbene, il suddetto provvedimento segna un momento fondamentale del dibattimento, poiché, nella sostanza, il Tribunale ha dato accesso “al buio”  ad istanze probatorie delle difese degli imputati: nella specie, trascrizioni in forma peritale di intercettazioni telefoniche, delle quali le difese non hanno neppure enunciato i contenuti, tanto da non consentire al Collegio il doveroso vaglio della loro pertinenza al thema decidendi.  

Le conseguenze? Mesi e mesi di inutili attività dibattimentali che hanno dato luogo, inevitabilmente, al conseguimento dell’obiettivo di Moggi e dei suoi sodali: la prescrizione.

Il riscontro documentale di tale assunto si desume agevolmente, per chi abbia letto con attenzione la sentenza di I° grado, dai diligenti riferimenti alle udienze nelle quali, di volta in volta, a turno, i difensori dei principali imputati hanno avanzato ulteriori richieste di trascrizioni, fornendo, in più occasioni, vari nuovi elenchi di conversazioni intercettate da trascrivere, more solito, senza illustrarne il tenore.

Ed invero, nel corso delle udienze del 15/05/2009, 19/05/2009, 26/05/2009, 20/10/2009, 09/02/2010, 20/04/2010, 11/05/2010, 19/10/2010, 26/10/2010, 23/11/2010, 22/02/2011, 1/03/2011  -come diligentemente annotato nella sentenza- i difensori degli imputati hanno formulato istanze per attività trascrittive di telefonate di tenore non dichiarato.

Si è trattato di un vero e proprio stillicidio architettato ad hoc, condotto fino alle ultime udienze del dibattimento che -con il remissivo assenso del Tribunale-  ha comportato ritardi letali della definizione del processo.  

In sostanza, come ripetuto fino alla noia nelle memorie, la linea difensiva mirava a far passare la tesi della illegalità diffusa (“Così fan tutti…..e quindi va bene...”), ricercando tra le migliaia quelle telefonate, che potessero dimostrare la esistenza di  contatti dei designatori Bergamo e Pairetto con altre società, al di fuori della Juventus.

 

Lo scrivente si opponeva ripetutamente alla tesi difensiva, ricorrendo ai numeri: “1+1 fa 2, non 0!”,  ho ricordato sino alla noia, così sintetizzando l’obiezione che, se altre società si fossero rese responsabili di altri comportamenti omogenei a quelli contestati, si sarebbe dovuto procedere separatamente con l‘instaurazione di un nuovo procedimento, senza alcuna interferenza con quello in corso.

Quanto alla tesi avversaria, ho avuto modo di rimarcare anche il significato inoppugnabile dell'avviso rivolto in una ben nota intercettazione, dalla dirigente federale Fazi a Bergamo (sì, puoi parlare anche con altre società, oltre alla Juventus, gli diceva; ma ricorda che il “tuo padrone è Moggi”!).

Tali obiezioni non sono servite a fermare l'onda lunga delle trascrizioni inutili.

E i tempi del processo, pertanto, si sono dilatati  oltre ogni ragionevole limite.

E' accaduto, quindi, che la sentenza del primo grado di giudizio avanti al Tribunale, iniziato il 24 marzo del 2009, è stata pronunciata il 4 novembre 2011;  le motivazioni depositate il 3 febbraio 2012.

 

Sono occorsi, quindi, quasi tre anni per il solo dibattimento!

Ecco come è maturata la prescrizione, ecco i soggetti che ne sono responsabili!

Ha sorpreso non poco, pertanto, la disinvolta asserzione dell'estensore della motivazione, a proposito della responsabilità dei ritardi del dibattimento cagionati dal numero delle intercettazioni, fermamente respinta dalla Corte: “Va sul punto segnalato che non si condividequanto affermato nella sentenza appellata, laddove sottolinea che la notevole mole di conversazione intercettate oggetto del compendio probatorio (circa 172.000, la cui trascrizione, pealtro, con contonue richieste di integrazione da parte delle difese si è protratta concretamente per tutto il dibattimento fino a giungere alla udienza precedente la chiusura del dibattimento: data del 21.12.2009: deposito prima perizia, in data 15.9.2010: deposito di seconda perizia, in data 08.02.2011:  deposito di terza perizia ed in data 8.4.2011: deposito di quarta perizia)  ha “di molto ostacolato la difesa…..anche per il metodo investigativo adottato per congettura”, atteso che la parità processuale in ambito dibattimentale non è certo data dal cospicuo o meno numero di prove addotte dall'Accusa, bensì dalla possibilità che entrambe le Parti possano avere piena cognizione delle stesse, elemento quest'ultimo che non appare in alcun modo sottratto alle Difese che, anzi, hanno goduto di un tempo amplissimo per richiedere (peraltro a volte in modo confuso ed incompleto, come indicato dagli stessi periti trascrittori all'uopo nominati dal Tribunale) la trascrizione di conversazioni con predisposizione di continui elenchi di volta in volta aggiornati. Né si può condividere il concetto di investigazione per congettura, pur utilizzato dal Tribunale , laddove l'idea di attività investigativa si fonda dalla notizia di un possibile fatto di reato e da esso si attiva la cd. “scienza investigativa” che attiene anche alla interpretazione dei fatti e delle circostanze attraverso un metodo comparativo delle congetture derivanti dall'esame critico dei fatti stessi.” (pag.105-106 sentenza Corte d'Appello, VI sezione, di Napoli)         

                                                                                            -

In tema di prescrizione, poi, non è la sola, colposa e/o dolosa, che si registra in “calciopoli”, se si pensa che il fascicolo relativo al giudizio celebrato con il rito “abbreviato” dalla IV sezione della Corte di Appello di Napoli (contro Giraudo ed altri, per intenderci)  ha impiegato quasi un anno per essere trasferito alla Corte di Cassazione (ricorsi del P.M. e di Giraudo, 18 aprile 2012; atti  inviati e pervenuti alla Corte, anche a seguito di  reiterate sollecitazioni del Brescia Calcio, il 20 febbraio 2013!).

Il processo -è il caso di dirlo?-  è arrivato in Cassazione “defunto”.

                                                                                               *

6.  Le anomaliedella sentenza del Tribunale di Napoli

 

Anche la sentenza Casoria è “anomala”, e per tanti profili.

E’ molto verosimile, se non palese, che la Presidente su gran parte dei punti in decisione sia rimasta in minoranza.

Anomala, quindi, o, quanto meno inopportuna, l’assegnazione a sè della stesura della motivazione della sentenza da parte della dott.ssa Casoria (un fatto analogo, in tema di custodia cautelare, le era stato specificamente contestato nel processo disciplinare).

Ma non è tutto, anzi, siamo solo all’inizio.

La sentenza si può fondatamente qualificare come “suicida”, nel senso che, la motivazione, a corredo delle condanne, è scarna, modesta, contraddittoria, e critica, pesantemente, nei confronti del P.M. e delle parti civili.

Sembra quasi che gli imputati siano stati condannati per caso.

Né, quindi, può sorprendere un'altra anomalia: la “solitaria” sottoscrizione della sentenza da parte della dott.ssa Casoria.

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Ben diversa la motivazione della Corte di Appello di Napoli (VI sez.-Presidente: dott.ssa Gentile)  a conforto della ritenuta sussistenza del delitto associativo,  come si rileva da alcune proposizioni  espunti dall'atto e qui di seguito trascritti:

“Molteplici  ed articolali  risultano  gli elementi probatori  individuanti la sussistenza in concreto  dell'associazione in parola:  già  si è  fatto cenno  alla  copiosissima  mole  di conversazioni intercettate  fa più associati.  effettuate  dalla  p.g. dal settembre 2004  al maggio  2005  e che  hanno  evidenziato in primis  la gravissima intrusione in ambiti federali  (ovvero  nell'ambito del FIGC)  di soggetti  ad essa estranei  ( come  appunto il Moggi) che, proprio perché  appartenenti alle dirigenza  di squadre  di calcio  e dunque di fatto "interessate",  non avrebbero  dovuto  avere  contatti  così  frequenti  e peraltro  di tenore  così  influente sulle  decisione e  sulla  gestione delle  strutture federali come l'A.I.A. ( che gestisce i rapporti  degli  arbitri  con  la dirigenza  federale  e con i terzi)  e la C.A.N.,  che  rappresenta la commissione,  che  designa gli  arbitri  per  le partite di calcio della Lega professionisti di serie A e B gestita  da due designatori, gli imputati Bergamo  e Pairetto,  durante  gli anni di cui alle imputazioni.

Sul punto  va osservato  (ma meglio  si esporrà  tale aspetto  in tema  dei  reati di frode sportive) che la  leggerezza  ed  apparente convivialità,  con cui avvenivano  gli accordi  per  le  designazioni delle  griglie fra  personaggi come il  Bergamo ed  il Moggi  o anche il Giraudo  (giudicato  con rito  abbreviato), appare  gravissima alla luce  della  evidente lesione  del  principio di  terzietà,  che  dovrebbe presiedere alla scelta  di  un direttore  di  gara  che,  in quanto  tale, ricopre  un ruolo  di  "arbitro" in ogni accezione, ovvero secondo  il  principio di mantenere  una equidistanza necessaria  ed ineludibile  fra i contendenti,  che non deve mai venire meno, soprattutto  in un  contesto  in cui l'attenzione degli  utenti (che non va confusa con la mera  tifoseria)  travalica  il mero  attaccamento alla  propria  squadra di calcio,  ma attiene alla regolarità  concreta  della disputa  di gioco  in oggetto.

Infatti, va notato  che per lo più, quasi  tutti  gli appelli  formulati  dalle  Difese  degli imputati  condannati in  primo  grado  per  il capo  A),  hanno  prospettato, essenzialmente, ai fini della  insussistenza del reato associativo, che il Tribunale ha travisato i rapporti evincibili dalle conversazioni  intercettate e  dall'esito  delle deposizioni testimoniali rese  di  dibattimento  (in  particolare  dei  testi Cellino, Nucini,  Babini,  Monti), non recependo invece il tenore  delle conversazioni che, per la peculiarità del contesto in cui  avvenivano, si caratterizzavano  per  una  spiccata convivialità  e confidenzialità  di eloquio,  ma senza  assumere  alcuna  valenza  penale. Sul punto, va subito negata in radice  tale  interpretazione, inutilmente benevola  di conversazioni che,  a parere  di questa  Corte,  nulla  di conviviale assumevano, anzi spesso  alcune  di  esse  mostravano nella  scelta  dell'eloquio  anche la  durezza dei rapporti che intercorrevano fra alcuni  partecipi  al sodalizio  e dell'evidente obiettivo, già  sopra accennato,  di  impossessarsi  o  di  mantenere  un  potere di controllo  che esulava  della  mera  conoscenza fra soggetti  del  medesimo ambiente.

Anche  sul  concetto di  peculiarità dell'ambiente, in  cui le conversazioni furono captate  (peraltro  indicato  in parte anche  nella  sentenza  impugnata: evidenziazione grafica dello scrivente)  va chiarito  che tale  assunto  appare  non  un'esimente,  bensì  un'aggravante,  perché  il cd  "gioco  del calcio", impropriamente  definito tale,  è  in  ogni caso una disciplina  sportiva (peraltro  a carattere  olimpico)  regolata  da un ordinamento che non può e non deve cedere ad una visione riduttiva  e "quasi  folcloristica" dello  stesso”.

                                                                                               *

7. La tacitiana motivazione a corredo della “singolare” assoluzione della Juventus dagli oneri risarcitori.

 

Trattasi di una questione, che non riguarda le società da me tutelate, ed alla quale sono, pertanto, indifferente, avendo anche sempre sostenuto le prevalenti responsabilità per la retrocessione del Bologna e del Brescia in capo alla Lazio ed alla Fiorentina, che hanno realizzato, con la permanenza in seria A, utilità  -ciascuna di esse-  dell'ordine di decine di milioni di euro (non meno di trenta-quaranta).  

Purtuttavia, non si può sottacere la sorpresa a fronte della seguente tacitiana motivazione del Tribunale: “Sul versante passivo, il tribunale stima che non può essere accolta la domanda nei confronti del responsabile civile Juventus s.p.a., sotto il profilo della frattura del rapporto organico con il datore di lavoro, generata dall'esercizio da parte dell'imputato Moggi di un potere personale avente manifestazioni esteriori esorbitanti dall'appartenenza alla società, noto come tale ai competitori, messi infatti in allarme, così come ampiamente dimostrato dagli atti del processo, dalle caratteristiche del suo potere, da tutti indistintamente i competitori primieramente collegato all'universo dei calciatori rappresentati dalla GEA.”

Poche righe   - peraltro, di tenore privo di pregio giuridico e logico-  per dire “no” ad una richiesta di 53 milioni di euro.

Il Tribunale ha, invero,  omesso di considerare che:

-cinque gare accertate dalla Corte di Appello come oggetto di frode in competizioni sportive, contestate a Moggi, hanno riguardato proprio la Juventus, della quale Moggi era direttore generale, e si sono concluse con risultati ad essa favorevoli (quattro vittorie ed un pareggio);

-la giurisprudenza ammette pacificamente che l’associato possa perseguire, non solo la finalità del sodalizio criminoso, ma anche una sua finalità personale non confliggente con la prima; in altri termini, in ipotesi Moggi poteva fare gli interessi della GEA, oltre che, primariamente, quelli dlla Juventus;

-persino Moggi si è ribellato all’idea che l’attività della “cupola” sia stata  (e possa considerarsi svolta (solo) in favore della GEA, avendo, invece, fermamente rivendicato, anche nel suo interrogatorio avanti ai  P.M., di avere sempre operato nell'interesse della Juventus.

                                                                                                  *

8-  I  plurimi sterili tentativi di ottenere misure cautelare reali

Iniziato il secondo grado di giudizio (App. Sez. VI, Presidente Gentile), il 19 aprile 2013 il Brescia Calcio presentava ricorso per sequestro conservativo penale nei confronti di Luciano Moggi.

Si ricordi che nel settembre del 2010, nell’ambito del processo con rito abbreviato, il G.U.P. di Napoli aveva aderito ad analoga richiesta nei confronti di Antonio Giraudo, autorizzando il sequestro sino alla concorrenza di 12 milioni di euro.

In seguito, la procedura è stata abbandonata, per la revoca della costituzione di parte civile del Brescia nei confronti di Giraudo, conseguente ad una sorta di accordo tra le figure apicali delle società interessate, legate da rapporti personali.

Va detto, al riguardo, che  il suddetto provvedimento è stato, poi, confermato dalla III sezione della Cassazione (la stessa che si è occupata di “calciopoli”), la quale ha respinto l’impugnazione  ugualmente proposta da Giraudo avverso la decisione del Tribunale del Riesame, confermativa del vincolo cautelare disposto dal G.U.P..

 

Ebbene, l’istanza contro Moggi è stata sorprendentemente rigettata in data 3 maggio 2013, poiché la Corte di Napoli, pur ritenuta la sussistenza del  fumus boni juris, ha negato il  periculum in mora, stante l’assenza di atti dell'imputato sintomatici del suo proposito di distrarre le garanzie patrimoniali.  

 

La Corte con tale decisione ha disatteso l’unanime giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il periculum risulta integrato nel caso di evidente incapacità del patrimonio disponibile a far fronte all’esposizione debitoria: richiesta “virtuale” di 65 milioni di euro, fondata anche sui dati forniti dagli uffici studi della FIGC e della Lega Calcio di Serie A; patrimonio di Moggi    -almeno quello …….accertato-  qualche milione.

 

E’ accaduto, poi, che anche l’Avvocatura dello Stato ed il Bologna Calcio, il 20 maggio 2013, abbiano richiesto, qualche settimana dopo la citata decisione negativa, il sequestro conservativo penale, argomentando circa l’assoluta fragilità dell’infelice corredo motivazionale, di cui sopra si è detto.

Nessuna risposta è mai pervenuta alla Società richiedente, se non in quella generica “Rigetta le richieste delle altre Parti civili”, di cui al primo dei tre famosi dispositivi che hanno accompagnato la sentenza del 17 dicembre 2013..

In ogni caso, ciò  dopo otto mesi di silenzio.

E' rimasto, dunque, inosservato dai Giudici l'obbligo della pronta adozione di un qualsivoglia provvedimento,  a fronte di  una istanza di  natura cautelare, per di più diffusamente motivata e documentata anche da uno specifico precedente nell'ambito della stessa fattispecie processuale.

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9. La sentenza …….dai tre dispositivi.

 

Da ultimo, per il giudizio con rito ordinario, il caso, davvero incredibile, dei  “tre dispositivi per una sentenza”.

E’ stata materia dei ricorsi per Cassazione del Bologna, del Brescia (e di altre parti civili), puntualmente accolti.

E’ il caso di ricordare che, dopo la sentenza letta in udienza il 17 dicembre 2013 da tutti intesa, quanto alle statuizioni civili, come confermativa della condanna generica di primo grado, fu emesso il 20 dicembre 2013 un secondo dispositivo.

A fronte delle vibrate proteste delle parti civili, la Corte fissò l'udienza camerale per il 20 marzo 2014, successivo di tre giorni al termine fissato per il deposito della sentenza, che, vale la pena ricordarlo, ha riprodotto il primo dispositivo, dopo la revoca del secondo, disposta medio tempore.

E’ sfuggito a qualcuno il disagio del Relatore, Consigliere dott. Grillo, nel riferire questa “indefinibile situazione”?

Quanto alla motivazione delle statuizioni civili, di cui alle pagine 198-204 della sentenza della Corte di Appello, che dire dell’asserzione secondo la quale se la Fiorentina vince “a tavolino” col Chievo, l’unica società danneggiata è il Chievo?!

Eppure siamo nel campionato disputato con girone all’italiana (ciascuna delle squadre partecipanti incontra tutte le altre), non in Champions League!

E’ possibile che la Corte ignori la fisiologica ricaduta dei risultati di una squadra sulla situazione in classifica delle altre squadre concorrenti (vuoi per lo scudetto, vuoi per la retrocessione, ecc?).

Eppure, così è stato motivato il “no” alle richieste risarcitorie, che è un “no” illegittimo già da prima, dal momento in cui la Corte ha ignorato la granitica posizione della Cassazione in tema di condanna “generica”, richiesta dalle parti civili:

“Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose; pronuncia che costituisce una mera "declaratoria juris", da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione: è solo in quella sede, pertanto, che tutte le parti possono liberamente svolgere le proprie argomentazioni, precisare il rispettivo "petitum" e chiedere l'ammissione delle prove, necessarie in relazione ai delimitati profili di danno richiesto, secondo i principi dispositivi propri del giudizio civile”(v. Cass. pen. Sez. III, 25/01/2011, n. 25191).

E da ultimo “Nel caso in esame, la Corte territoriale ha, dunque, correttamente premesso che il giudice penale, nel pronunciare condanna generica al risarcimento dei danni, non è tenuto ad espletare accertamenti in ordine alla concreta esistenza del danno risarcibile, potendo limitare il suo accertamento alla potenziale capacità lesiva del fatto dannoso. Espressione dell'esigenza di conciliare l'obiettivo di speditezza del giudizio penale con gli approfondimenti istruttori che, spesso, renderebbe necessari l'accertamento dell'entità del danno risarcibile;, deve, pertanto, ritenersi, in aggiunta ad una serie di regole volte a scoraggiare l'esercizio in sede penale dell'azione civile, la menzionata possibilità per il giudice penale di limitarsi a pronunciare una condanna generica. Posta tale premessa, la Corte ha con logica deduzione escluso che il danneggiato debba dare la prova della effettiva sussistenza del danno, ritenendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose” (v. Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-01-2015) 27-01-2015, n. 3807).

Ben si comprendono, quindi, le censure contenute nei ricorsi per Cassazione, pro Brescia e pro Bologna, ove si stigmatizza l’”invasione di campo” sopra descritta.

 

E, del resto, dobbiamo riconoscere con franchezza che, invece, la sentenza (quasi fosse scritta da un altra mano) ha correttamente motivato l’asserita sussistenza e operatività dell’associazione criminosa, e l’effettiva consumazione dei reati delle frodi sportive, in perfetta linea con le decisioni sui suddetti punti del GUP, della Corte d’Appello, Sezione IV, e del Tribunale di Napoli; quattro - sentenze - quattro, che dicono tutte la stessa cosa.

 

I segni di un irrimediabile distonia si colgono solo nelle ultime pagine della motivazione -sopra severamente censurate- a proposito dell’assunto del Tribunale che, per esemplificare, Chievo-Fiorentina 1-2 “taroccata” per i viola non riguarderebbe le società concorrenti con la Fiorentina per la lotta a non retrocedere.

A questa “gaffe” è tempo di aggiungerne un’altra, anche più grave, a proposito dell’incredibile conclusione cui inevitabilmente conducono gli pseudo-argomenti della Corte: “è vero, due squadre sono state “salvate”, con i noti aggiustamenti dei risultati, però non ci sono state società danneggiate”.

Come mi è capitato di dire con linguaggio noir: due omicidi senza i due cadaveri!

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Fortunatamente (recte; grazie alla grande probità ed alle eccelse qualità del Presidente, del Relatore e degli altri Giudici del Collegio) la Cassazione ha annullato quel capo della sentenza della Corte territoriale, restituendo equilibrio alla bilancia della Giustizia.

 

Milano-Bologna 28 giugno 2015

Avv. Bruno Catalanotti