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Chiacchiere e buio senza coraggio. Inter, meritiamo di meglio: e Spalletti aveva previsto tutto

La nostra analisi di quanto accaduto a San Siro

Marco Macca

Un disastro. Giorni a invocare la professionalità del Barcellona, quasi come se Valverde, Messi e compagni fossero obbligati da qualche legge divina a giocare per qualcun altro, a dispensare favori qua e là. Giorni a tenere l'occhio fisso all'orizzonte, provando a scorgere la sagoma del Camp Nou, con le mani giunte a pregare che gli dei del Girone B si mettessero una mano sulla coscienza e provassero ad avere pietà di una povera squadra arrivata dalla quarta fascia e tanto ambiziosa di proseguire nel suo cammino fra le grandi, per gustarsi fino in fondo l'effetto che fa. Giorni passati così, quasi come se la partita di San Siro non dovesse giocarsi, quasi come se l'Inter scendesse in campo contro una squadra di dilettanti.

E pensare che quel favore da Barcellona è anche arrivato. I tifosi dell'Inter avevano passato le scorse ore a inorridirsi di fronte all'idea di turnover dei blaugrana, come se far riposare qualche titolare in una partita che non contava nulla fosse, da parte di Valverde, una mossa del tutto scorretta. Nonostante tutto questo, dalla Catalogna le buone notizie sono arrivate fin da subito: il gol di Dembelé dopo 7' aveva spianato la strada a una serata colorata da emozioni positive. Si era detto che questa doveva essere la partita della svolta, la partita in cui i nerazzurri si giocavano un pezzo di progetto e futuro. Ebbene, se il risultato è questo, il verdetto è uno solo, guardando avanti: la strada per diventare una grande squadra è ancora tremendamente lunga.

Perché, francamente, San Siro (che pure ha delle colpe per aver fischiato precipitosamente la squadra al termine del primo tempo, quando c'era ancora un'eternità da giocare) avrebbe meritato un altro atteggiamento da questi giocatori. Che sì, hanno mostrato impegno; che sì, ci hanno provato fino all'ultimo anche contro l'inspiegabile ostruzionismo del PSV Eindhoven, corretto del giocarsi la partita al meglio delle sue possibilità ma molto meno quando si è trattato di bloccare con slealtà le manovre avversarie. Ma che non hanno scusanti per quello che è accaduto questa sera: doveva essere la partita della vita per molti di loro ed è stata affrontata nel peggiore dei modi.

Tanto per capirsi: il gol di Lozano (frutto di un errore di un giocatore esperto come Asamoah, il che potrebbe già spiegare molto del sentimento con cui è stata affrontata la partita dalla squadra) è arrivato dopo soli 13 minuti di gioco, praticamente a inizio partita. La consapevolezza dell'importanza della serata avrebbero dovuto portare la squadra a gestire il match con pazienza e lucidità. E' avvenuto l'esatto contrario: gli uomini di Spalletti (ne parleremo in seguito, perché merita un capitolo a parte) hanno iniziato ad avanzare con frenesia, in maniera confusa, sbagliando tecnicamente e tatticamente e, pur creando delle occasioni, hanno rischiato seriamente di compromettere tutto ben prima del fischio finale.

Il gol di Icardi è arrivato al 73': non prestissimo, certo, ma in fin dei conti c'erano più di 20 minuti in cui assediare letteralmente la porta avversaria per cercare il secondo gol e mettere relativamente al sicuro la situazione, dato che era sicuramente giunta voce a tutti che il Barcellona, pur in vantaggio, stava (comprensibilmente) soffrendo contro il Tottenham. E invece, quasi inspiegabilmente, si è assistito a un desolante pseudo-spettacolo di gestione della palla quasi irritante, interrotto solo in modo altrettanto indisponente dal pareggio degli Spurs firmato Lucas Moura. E che ora non si getti la croce addosso a Lautaro Martinez per aver sbagliato quel gol di testa. E' davvero l'ultimo dei colpevoli. L'Inter, al gol di Icardi, era sì qualificata, ma sapeva benissimo che la situazione era troppo in bilico per fermarsi e sperare che il tutto si congelasse magicamente. Il risultato? Si è fermata, da Barcellona è successo quello che tutti temevano e il sogno è svanito in un attimo.

Di certo aveva ragione Spalletti, quando difendeva tutti i suoi a spada tratta e inveiva contro chi criticava i suoi ragazzi, sostenendo in modo anche corretto che nessuno si sarebbe aspettato una campagna europea tanto soddisfacente al momento dei sorteggi. L'Inter è arrivata a questa serata con la possibilità di giocarsi la qualificazione agli ottavi di finale di Champions League contro una squadra, il Tottenham, obiettivamente più forte e decisamente più abituata negli ultimi anni a calcare certi palcoscenici. Tutto vero. Peccato però che lo stesso Spalletti qualche settimana fa parlava di un vampiro che si aggirava fra i prati della Pinetina negli anni scorsi e che doveva essere scacciato, e che invece questa sera si è puntualmente ripresentato. Quel vampiro è sempre stato nient'altro che la debolezza psicologica di una squadra pronta sempre a smarrirsi con la stessa facilità con cui, nelle giuste serate, riesce a esaltarsi.

Eh sì, Spalletti aveva ragione ad avere paura. Il problema è che nemmeno lui è riuscito a risolvere la situazione. Non è riuscito a calmare i suoi e a far prevalere la calma, non è riuscito a trasmettere fiducia. E sicuramente, almeno in questa occasione, si è dimostrato poco coraggioso. Se c'era una serata in cui attaccare e portare da subito la partita sui giusti binari, beh, era proprio questa. E perché non dare stasera una chance dall'inizio a Lautaro che, tra l'altro, quando è entrato si è mostrato ancora una volta tra i più positivi? Ce lo chiediamo eccome.

Come ci chiediamo che senso abbia parlare sempre della vita privata di un giocatore come Mauro Icardi, che quando scende in campo è l'unico sempre inattaccabile. Che regalasse a Wanda una Bentley o festeggi fino alle 4 del mattino se vuole. Perché è lui che tiene in piedi sempre questa squadra. Che tutti si diano una calmata prima di sparare a zero giudizi su un ragazzo che, fino a prova contraria, non ha mai sbagliato una virgola in questa squadra. Una menzione, infine, per Matteo Politano, che con umiltà, qualità e generosità si è preso questa squadra sulle spalle e che sta sempre più diventando un giocatore di livello internazionale.

Si riparte dall'Europa League. Mestamente, con la testa bassa, con la necessità di fare un bagno di umiltà. Perché la batosta è di quelle dure, perché se ti chiami Inter non dovrebbe essere quello il tuo palcoscenico, specialmente dopo una prima parte di Champions di livello assoluto. Ma la realtà è questa, l'Inter è questo che al momento merita. Che si scenda in campo senza sottovalutarla, e che si scenda in campo per vincerla. Perché ora è davvero finito il tempo delle chiacchiere.

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