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Kondogbia, l’Inter soffre la Doyen no: una miniera d’oro, cifre clamorose e un +524%

Il centrocampista francese non riesce a imporsi nell'Inter. Ma chi ha investito su di lui ha fatto una fortuna

Alessandro De Felice

Prendete un tifoso dell’Inter e fategli il nome di Geoffrey Kondogbia. I più timidi abbasseranno gli occhi o guarderanno altrove, tentando di cambiare discorso. Gli altri, quasi tutti, esprimeranno la loro delusione con una sfilza di aggettivi irripetibili. In effetti, dopo mesi di prestazioni altalenanti (eufemismo), solo pochi ottimisti riescono a vedere in Kondogbia le qualità da fuoriclasse di cui era accreditato nell’estate del 2015, quando l’Inter lo comprò dal Monaco per 40 milioni di euro e uno stipendio annuo, come conferma il contratto che l’Espresso ha potuto leggere, di 3,5 milioni al netto delle tasse.

Se l’Inter deciderà di cedere il centrocampista francese, le probabilità che riesca a recuperare la somma investita non sono molte. Per altri, invece, Kondogbia si è trasformato in una miniera d’oro. C’è il Monaco, controllato dal russo Dmitry Ribolovlev, che nel 2015 è riuscito a rivendere il giocatore al doppio del prezzo a cui l’aveva acquistato ad agosto del 2013. L’operazione si è quindi chiusa con un rendimento del 50% annuo. Ma questo è niente in confronto alla performance ottenuta da Doyen, la multinazionale del management sportivo guidata da Nelio Lucas.

A conti fatti l’investimento di Doyen su Kondogbia ha fruttato il 524% in 13 mesi. Fenomenale. Un colpo da far invidia a un lupo di Wall Street. Questo è quanto emerge dal file di Football Leaks, che l’Espresso ha potuto visionare insieme agli atri partner della rete di giornalismo investigativo EIC. Si, perché quando ad agosto del 2013 il Siviglia cedette il calciatore al Monaco per 20 milioni, la metà di quella somma andò proprio a Doyen, che l’anno prima aveva finanziato per metà l’acquisto di Kondogbia da parte del Siviglia. All’epoca nel ruolo di venditore c’era il Lens, una squadra transalpina, e l’operazione venne conclusa per tre milioni. I conti sono presto fatti: Doyen sborsò 1,5 milioni de luglio del 2012 e 13 mesi dopo, come risulta dai documenti, incassò al netto delle spese, 9 milioni 358 mila euro con un profitto di quasi 8 milioni pari a un rendimento del 524%.

Insomma, per Doyen il titolo di Kondogbia è andato alla grande. Un rialzo strepitoso. E pensare che Lucas, solo a luglio del 2013, temeva che l’intera operazione andasse in fumo. In base al contratto stipulato con il Siviglia, il club iberico era obbligato a vendere se fosse arrivata un’offerta di almeno 20 milioni per Kondogbia. E nel disperato tentativo di trovare un compratore, il gran capo di Doyen aveva organizzato un party a Miami con ospite d’onore Florentino Perez, il patron del Real Madrid. Un party con fiumi di champagne e belle ragazze invitate per l’occasione (party smentito da Perez). Quel giorno, il 6 agosto 2013, anche l’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, si trovava a Miami, dove il club rossonero era impegnato in un torneo amichevole, l’International Champions Cup. Interpellato dall’Espresso, Galliani dichiara di non aver partecipato alla festa di Lucas e smentisce anche di aver trattato l’acquisto di Kondogbia durante quel soggiorno negli Stati Uniti. Anche Perez nega di essere stato a quel party e neppure lui si è fatto convincere a comprare il giocatore francese. A salvare la situazione è spuntato il Monaco, che ha acquistato Kondogbia e un altro giocatore della scuderia Doyen.

Un calciatore del calibro di Radamel Falcao, colombiano pagato addirittura 43 milioni. Quest’ultimo affare ha fruttato circa 5 milioni di profitti per Doyen, dieci volte meno rispetto a Kondogbia. La vicenda però non si chiude qui. Una parte del denaro incassato è volata lontano, negli Emirati Arabi Uniti dove ha sede la società Denos. Tra i file di Football Leaks c’è un contratto in cui Doyen si impegna a girare a Denos il 10% dei profitti incassati con la cessione di Kondogbia e altri due calciatori, il già citato Falcao e Miguel de las Cuevas. Vale la pena ricordare che negli Emirati Arabi Uniti vige il più ferreo segreto bancario e societario. Difficile stabilire con certezza, quindi, il destinatario di quei soldi.

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