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Pioli: “Inter più italiana. Si a Berardi e Bernardeschi. Occhio a Pinamonti. E Gabigol…”

Il tecnico emiliano si racconta al Corriere dello Sport e parla anche del futuro della società nerazzurra, sempre più affascinata dagli italiani

Redazione1908

Stefano Pioli parla al Corriere dello Sport. Il tecnico emiliano concede una lunga intervista al quotidiano, dove si racconta a partire dalla propria infanzia, quando ancora adolescente, faceva i compiti tra il poster di Mazzola e quello di Cruijff: «E’ cominciato, come tanti bambini della mia generazione, nel cortile sotto casa. Appena si finivano i compiti di scuola il primo pensiero era andare a giocare con gli amici. Era un modo per stare insieme con loro, un modo per vivere allegramente la giornata. Poi il calcio ha preso il sopravvento. Ero portato, bravino. E’ nato in cortile, questo amore, e poi è proseguito con la squadra del quartiere dove i miei genitori a sette anni hanno iscritto me e i miei fratelli. Siamo cresciuti insieme, abbiamo giocato insieme. E’ stato un modo per conoscerci, per vivere le giornate insieme. Le amicizie di quegli anni sono restate nel tempo. Di calcio, nella mia stanza da bambino, c’era il poster di Mazzola e quello di Cruijff, un giocatore che ho sempre ammirato e ho sempre seguito nella carriera di allenatore. Era un giocatore intelligente,elegante, mi ha sempre affascinato. Il 14 di Johan Cruijff lo sento ancora molto presente in me. Ero interista perché venivo da una famiglia di interisti, e la prima partita di serie A che ho visto è stata Bologna-Inter, goal di Muraro. Ero interista perché mio padre e mia madre ci parlavano bene dell’Inter. Sono cresciuto con l’Inter di Beccalossi, di Pasinato, di Altobelli, di Bordon, di Bini. Lo sono sempre rimasto, anche se poi la mia carriera da calciatore e da allenatore mi ha portato in altre squadre».

Stefano Pioli parla anche della sua carriera e degli infortuni che ne hanno compromesso il periodo che lui definisce migliore. nel suo destino poteva esserci anche la Nazionale dell’allora tecnico Vicini, ma contro il Werder Brema, in Coppa Uefa, il suo ginocchio andò in frantumi:«I più belli sono due. Il primo è il goal promozione con il Parma in serie C. Vincemmo il campionato di serie C e andammo in serie B. Io ero un ragazzino molto giovane e giocavo nella squadra della città nella quale ero cresciuto, la mia città. E’ stata una soddisfazione enorme, avevo gli amici in curva, avevo i parenti allo stadio tutto l’anno. Una comunità. Il fatto di segnare il goal che poi ci ha dato la promozione matematica è stata una grandissima gioia. Il secondo è aver giocato e vinto con la Juventus la Coppa intercontinentale nella finale dell’85 con l’Argentinos Juniors . Sono entrato al posto di Gaetano Scirea che aveva avuto un infortunio all’inizio del secondo tempo e ho giocato tutta la ripresa. Fu una partita spettacolare, finì 2-2 e poi vincemmo ai rigori. Di ricordi negativi ce ne sono, perché purtroppo nella mia carriera ho avuto degli infortuni gravi e ho dovuto smettere a trentadue anni, quando ero ancora giovane. L’infortunio più grave fu nel mio momento migliore, in semifinale della Coppa Uefa tra Fiorentina e Werder Brema. Dopo pochi minuti mi ruppi tutto il ginocchio destro, restai fermo un anno. Era un momento molto positivo, sembrava potessi essere convocato in Nazionale da Vicini. Però quell’infortunio segnò la mia carriera, perché il ginocchio non fu più quello di prima. Dopo ebbi altre tre operazioni, sempre nello stesso ginocchio. Ho fatto un’ottima carriera, da calciatore, però senza quell’infortunio credo che avrei potuto fare di più. Fu un incidente pericoloso. Ha fatto molto spaventare i miei familiari e il pubblico. Era un calcio d’angolo ed eravamo in difesa, io marcavo Protti che era allora il capocannoniere della serie A. Lo anticipai di testa, lui fece lo stesso la rovesciata e fui colpito alla testa. Quando mi svegliai, fu impressionante, dentro la tac ero ancora vestito da calciatore. Un buio, un freddo allucinante. Io non capivo dove potessi essere. Molto spavento per la gente, per i miei genitori, per mia moglie. I tifosi della Fiorentina avevano, qualche anno prima, vissuto anche l’infortunio grave di Antognoni. Per fortuna fu meno grave e dopo due settimane tornai nella mia città, ad allenarmi».  

Tre gli allenatori che Pioli ricorda con maggiore entusiasmo: Trapattoni, Bagnoli e Ranieri. Ognuno di questi gli ha lasciato qualcosa di diverso e di importante. Il primo lo ha migliorato sotto l’aspetto tecnico, il secondo sotto per la qualità dei rapporti umani e il terzo per l’introduzione di un calcio che iniziava a cambiare:«Io ero un giocatore molto attento, disponibile, un lavoratore. Cercavo di capire cosa volessero i miei allenatori e, soprattutto, che obiettivo avevano e quale lavoro dovevamo fare per arrivare ad ottenerlo. Gli allenatori importanti per la mia crescita sono stati sicuramente Trapattoni, Bagnoli e Ranieri. Trapattoni mi emozionava, per l’entusiasmo, per la passione, per la voglia di stare sempre con la squadra sul campo a lavorare, a parlare. Era un allenatore che aveva già vinto tanto, però non smetteva tutti i giorni di avere quel fuoco dentro, quello che poi riusciva a trascinarti. Il Trap mi ha migliorato anche dal punto di vista tecnico. Mi ha fatto così tanto calciare col mio piede debole, che era il sinistro, che io poi, nella mia carriera, mi sono potuto definire benissimo un ambidestro. Questo lo devo quasi esclusivamente al lavoro che Trapattoni faceva con me tutti i giorni, lui poteva benissimo pensare di più ad altre cose, invece perdeva tempo a migliorare l’azione di una riserva come me. Questo mi è rimasto dentro, ed è la cosa che sto facendo anch’io, adesso che sono allenatore perché credo che la metodologia di lavoro sia cambiata però credo assolutamente che sia essenziale l’aspetto tecnico. E’ migliorata la fisicità, sono cambiati i tempi di gioco, ma è sempre più necessaria la tecnica. Se sei un giocatore di qualità, se hai una tecnica sopraffina, puoi anche sopperire alla mancanza fisica o comunque puoi superare le difficoltà che la partita e gli avversari ti mettono di fronte. Oggi non si può giocare a certi livelli, se non possiedi una tecnica notevole. Poi dico Bagnoli per la serietà, per la praticità e concretezza che aveva anche nei rapporti personali. Era una persona che parlava poco ma sapeva quello che doveva dire, per entrare nella testa del giocatore. Ranieri perché è stato il primo allenatore che ho avuto, capace di portare un calcio un po’ diverso da quello degli allenatori precedenti. Il primo allenatore che mi ha fatto giocare a zona, che mi ha fatto pensare di più a ragionare, di più a capire il gioco. Ranieri è peraltro una persona molto abile nella gestione dei rapporti, nella gestione della squadra. E’ stato premiato perché ha fatto vedere a tutto il mondo di cosa è capace. In tutta la sua carriera, ma soprattutto nella vittoria incredibile che ha avuto l’anno scorso con il Leicester». 

QUEL FENOMENO DI KLOSE - Al tecnico emiliano viene chiesto di indicare il calciatore più intelligente mai allenato in carriera. La scelta cade, quasi automaticamente, sul tedesco allenato alla Lazio: Miroslav Klose: «Io non faccio mai distinzione tra un giocatore alto, un giocatore basso, un giocatore sinistro e un giocatore destro, io faccio distinzione tra un giocatore intelligente e un giocatore poco intelligente. I giocatori intelligenti ti permettono di sviluppare le tue idee, ti permettono di avere una squadra in campo che si sa muovere. Nel calcio oggi è molto importante sapersi muovere sia quando la palla l’abbiamo noi che quando l’hanno gli avversari e quindi l’intelligenza è il fattore determinante nel calcio moderno. Se proprio dovessi scegliere il giocatore più intelligente che ho allenato è sicuramente Klose. Aveva un’intelligenza calcistica di altissimo livello. E’ un giocatore che sa stare in campo, che sa muoversi, si sa smarcare. Secondo me il giocatore intelligente è quello che fa sempre la scelta giusta, che poi può sbagliare il passaggio o può sbagliare il gesto tecnico, ma che sa sempre leggere la situazione in anticipo, che fa la scelta giusta. Klose, in questo, è un fenomeno». 

L’ARRIVO ALL’INTER E QUELL’OBIETTIVO DI “ITALIANIZZAZIONE” -Dall’esterno tutto appariva diverso, il gruppo nerazzurro sembrava sfaldato e privo di valori, ma una volta messo piede ad Appiano Gentile, Pioli ha capito come invece stavano realmente le cose. Ha trovato un gruppo unito, disposto al sacrificio, un gruppo che potrà ulteriormente crescere, soprattutto grazie agli sforzi economici di Suning, che intende rendere sempre più italiana la squadra nerazzurra.«Io sono rimasto positivamente sorpreso: ho trovato una squadra molto disponibile, che aveva voglia di lavorare. Una squadra consapevole che non stava rendendo in linea con i valori che ha. E per questo, con grandissima disponibilità al lavoro, con la voglia di tirarsi su le maniche. Lavorando tutti insieme, un lavoro attento, di qualità, di precisione, curando tutti i minimi particolari, si può ancora cercare di trasformare una stagione che sembrava negativa in una positiva. Ho trovato molta disponibilità, una struttura societaria e organizzativa che dall’esterno sembrava non compatta, non unita. Invece ho trovato una proprietà ambiziosa, un management molto unito, mi sono trovato nelle condizioni ideali per lavorare. Poi è chiaro che, quando i risultati sono negativi, finisce col mancare un po’ di fiducia in qualche giocatore, un po’ di autostima del gruppo. Questa si ritrova solamente con il lavoro e si ritrova con i risultati ed è quello che stiamo cercando di fare. Pensavo di trovare più cose negative. Qua i valori ci sono, si è potuto ripartire da una base importante di valori tecnici e, ho scoperto, anche morali. Su quelli si può costruire qualcosa di buono per il nostro presente e soprattutto si può pensare ad un futuro importante per l’Inter. Allegri dice che per costruire una grande squadra serve un nucleo composto da italiani. Credo che abbia ragione assolutamente e la dimostrazione è nella Juventus, c’è stata con il Milan. Nel Milan di Sacchi tutti ricordano Gullit, Van Basten, Rijkaard ma si dimentica che lo zoccolo erano Baresi, Galli, Tassotti, Costacurta, Maldini, Donadoni, Evani. Credo che l’Inter sia consapevole di questo e credo che anche l’acquisto di Gagliardini vada in questa ottica. E potrebbero, dovrebbero esserci degli altri acquisti in futuro in questa direzione. E’ chiaro che gli italiani ci sono, è chiaro che siamo una grande squadra e quindi devono arrivare giocatori giovani italiani, ma giocatori giovani, italiani e forti. Credo che questo sia un obiettivo anche per le scelte future di mercato». 

GAGLIARDINI INDICA LA VIA DEL FUTURO -«Io credo che Gagliardini sia un centrocampista moderno. Faccio fatica, come fanno molti addetti ai lavori e anche i media, a etichettare un giocatore. A me piacciono i giocatori duttili. Gagliardini lo è, nel senso che può giocare in un centrocampo a due, può giocare in un centrocampo a tre. Lui ha un grande senso della posizione, ha personalità e gioca un calcio molto semplice ma efficace. E’ quello che io richiedo ai miei centrocampisti. L’importante è occupare bene il campo, l’importante è avere i tempi di inserimento giusti. Insomma, importante, per il centrocampista, è avere le due fasi di gioco, e lui le ha. E’ un ragazzo giovane, che si sta completando, ma è un ragazzo già pronto che ci dà energia, ci dà fisicità, ci dà efficacia. E’ stato un investimento importante e un acquisto importante per l’Inter». 

GABIGOL COME FELIPE ANDERSON -«Io credo che ci siano tanti esempi che ci dicono che per i giovani stranieri il primo anno di campionato non è mai semplice. E’ chiaro che è un ragazzo giovane, un ragazzo di talento, un ragazzo che però arriva da un paese molto lontano, con una mentalità, anche calcistica, molto diversa e quindi ha bisogno di tempo per inserirsi in una nuova cultura di lavoro, in una nuova mentalità, con nuovi compagni, con una nuova lingua. Mi fa pensare a Felipe Anderson che nella Lazio, il primo anno, ha avuto le sue difficoltà, ha avuto i suoi momenti difficili. Però non si è perso, ha continuato a lavorare, ha continuato ad aver fiducia, non si è demoralizzato e l’anno successivo ha avuto il palcoscenico che meritava. Io sono qui da poco ma Gabigol è già cresciuto tanto e così deve continuare a fare. Senza deprimersi se non verrà scelto e senza esaltarsi quando verrà messo in campo». 

GLI INVESTITORI CINESI E LA CULTURA DEL LAVORO -«La Cina è un paese in grandissima espansione economica, culturale e sportiva ed è normale che sia diventata una potenza mondiale. Quindi è anche normale che ci siano forti investitori nello sport. Come ci sono stati investitori in Premier League, prima americani, poi orientali. Portano investimenti economici importanti ma anche una grandissima cultura del lavoro, una grandissima professionalità, una grandissima precisione. Sono dei grandi lavoratori, sono dei perfezionisti che credo possano fare bene al calcio moderno. Pregiudizi nei loro confronti? Noi italiani siamo così, quelli che arrivano da fuori ci preoccupano, ci spaventano. Alle cose nuove ci vuole un po’ di tempo per abituarsi. Per quello che sto vivendo, per come li sto conoscendo, per la loro voglia di sostenermi, di investire, di fare, io vedo gente molto determinata, vedo gente che non è venuta per speculare, vedo gente che vuole costruire, che vuole fare le cose fatte bene. Vogliono investire con logica, vogliono migliorare la struttura. Io da questo punto di vista vedo solamente positività, al momento». 

DOVE PUO’ ARRIVARE L’INTER -«E’ chiaro che in questo momento il nostro futuro dipende molto da noi stessi. Ma non possiamo essere soltanto noi a determinare il nostro futuro, nel senso che noi stiamo rincorrendo le posizioni di vertice e non possiamo fare altro che provare a vincere ogni partita ed è quello che stiamo facendo. Ma sappiamo anche che davanti a noi ci sono formazioni molto forti che stanno correndo velocemente. Io dico ai miei giocatori che da qui al 28 maggio dobbiamo provare a vincere tutte le partite possibili e possiamo farlo, perché abbiamo le qualità. Però solamente il 28 maggio tireremo le somme. Sicuramente sarà una rincorsa molto difficile, molto complicata. Ne siamo consapevoli, ma ci affascina anche per questo». 

TRA BERARDI, BERNARDESCHI E… PINAMONTI -«In Italia stanno venendo fuori dei giovani molto interessanti e sicuramente Berardi è un giocatore di talento, come lo è Bernardeschi. Io vorrei citare Pinamonti. Non dobbiamo mettergli troppa pressione perché è un ragazzo veramente giovanissimo, ha fatto solamente una partita in Europa League. Ma è un ragazzo di ottima prospettiva, di grande qualità e, tra l’altro, un ragazzo con grande serietà, con grande umiltà. Credo possa essere un prospetto molto importante per l’Inter, ma anche per il calcio italiano». 

L’ESPERIENZA ALLA LAZIO - «E’ stata un’esperienza molto intensa. L’ambiente di Roma è un ambiente particolare, crea molte aspettative, pretende tanto. E’ stata un’esperienza bellissima. Il primo anno tutti noi, io come allenatore, i giocatori, la società, abbiamo reso al massimo, forse anche al centocinque per cento delle nostre possibilità. Ci sono state tantissime soddisfazioni, e anche dei rimpianti: mi riferisco soprattutto al non essere riuscito a vincere la finale di Coppa Italia con la Juventus, nella quale meritavamo anche la vittoria. E mi riferisco al non avere vinto un derby, malgrado fossimo avanti due a zero a fine primo tempo. L’anno dopo, invece, tutti noi abbiamo reso al di sotto delle nostre possibilità ed è stato un peccato perché era stato costruito un percorso che ci poteva portare in futuro a diventare una squadra forte. Purtroppo non è stato così, ma rimane per me un’esperienza molto utile, molto bella, molto importante. Ho avuto un ottimo rapporto con la squadra e con i giocatori. Sono stato bene. Poi, purtroppo, come spesso succede nel calcio, è finita. Finita prima di quanto mi aspettavo e prima di quello che io volevo». 

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