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Lukaku: “Volevo giocare in Italia, l’ho fatto e ho vinto. Ho dimostrato al mondo…”

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In una lunga intervista al Telegraph, l'attaccante belga parla del suo percorso fatto in Italia e quanto ha inciso Conte sulla sua carriera

Gianni Pampinella

Sono impressionanti le statistiche di Romelu Lukaku: 251 gol in 508 partite, 0,75 gol ogni 90 minuti per l'Inter. Gol che hanno trascinato i nerazzurri a rivincere il campionato a 11 anni di distanza. "Mi sono reso conto di quanto le persone ti guardano in maniera diversa quando vinci qualcosa. Questo è qualcosa che ho imparato", racconta l'attaccante belga in una lunga intervista al Telegraph.

"Nelle conversazioni che ho avuto con Didier Drogba o John Terry o Antonio Conte, il rispetto che ho è diverso quando inizi a vincere. Quello era qualcosa che volevo davvero. Volevo vincere così tanto. Sono andato all'Inter e l'abbiamo fatto. Questa è l'unica cosa che conta per me: vincere. Segnare gol, sì, è bellissimo. So di giocare in una posizione in cui posso segnare molti gol. Ma vincere trofei, questo ti definisce".

"L'esperienza in Italia mi ha reso più completo come giocatore. Lasciare la Premier League era parte del mio piano per provare e sperimentare diversi campionati. Ho vissuto la Serie A che era un campionato in cui ho sempre voluto giocare a un certo punto della mia carriera. L'ho fatto. Andando lì affronti un diverso tipo di pressione e per me è stata una buona cosa. Per quanto riguarda la maturità, era sapere cosa serve per vincere".

"Ovviamente avevo Antonio Conte lì come allenatore e mi ha davvero aiutato e mi ha mostrato cosa ci vuole per vincere e ce l'abbiamo fatta nella seconda stagione. Ogni allenatore ha un modo diverso di allenare ma con Antonio abbiamo davvero imparato ad andare oltre i limiti. Era così. Nella seconda stagione siamo stati molto più coerenti e in grado di vincere grandi partite. Questo faceva la differenza contro i grandi avversari".

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"Da giocatore il gioco italiano è così diverso. È così tattico e tecnico. Devi fare una corsa o il movimento giusto per liberare un altro giocatore. Abbiamo sempre avuto molto possesso, quindi giocavamo molto nella metà campo avversaria. Ricordo di aver avuto un colloquio con Conte su questo e lui mi disse che se non ero bravo in quello io non avrei giocato. Per me è stata una rivelazione".

"Una volta padroneggiato quell'aspetto, per me tutto è diventato più facile. Il gioco rallentava e potevo controllare di più il gioco e fare più assist. Quella era davvero qualcosa che volevo fare e volevo sperimentarlo in un altro Paese. La mia carriera ne ha beneficiato. Io non devo dimostrare niente a nessuno. L'unica cosa che mi motiva è me stesso. Sono un auto-motivatore e lo sono sempre stato. Sono un giocatore del Chelsea e felice di essere qui ora. Sono molto più di quello che la gente vuole vedere".

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"Penso che andare in Italia abbia sostanzialmente mostrato al mondo cosa posso fare e anche giocando con con il Belgio. Stare con le spalle al muro è qualcosa che ho vissuto fin dalla mia tenera età quindi non è niente di nuovo per me. Faccio il mio lavoro in allenamento e in campo, qualunque cosa la gente dica, lasciali parlare. Hanno una percezione. Non mi conoscono".

(Telegraph)

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