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Zanetti: “Mancio, un gran piacere. Le risate con Prisco e Giacinto…”

Javier Zanetti, intervistato dal Corriere della Sera, concede solo una battuta al ritorno di Roberto Mancini, ma emblematica dell’ottimo rapporto tra i due: «Un gran piacere il Mancio: ero il suo capitano quando abbiamo cominciato a...

Daniele Mari

Javier Zanetti, intervistato dal Corriere della Sera, concede solo una battuta al ritorno di Roberto Mancini, ma emblematica dell'ottimo rapporto tra i due: «Un gran piacere il Mancio: ero il suo capitano quando abbiamo cominciato a vincere».

Poi ripercorre le sue tappe all'Inter:

Quando arrivò a Milano?

«Estate 1995. Pioveva».

Acquistato giovanissimo da una squadra dall’altra parte del mondo: un’immagine, un flash di quel giorno che si porta nel cuore?

«L’aeroporto di Linate».

Seconda possibilità.

«Lo stadio Meazza».

Ci andò subito?

«Di corsa. Noleggiai una macchina, una Chrysler».

Non c’era il navigatore.

«Infatti ci misi un po’».

E una volta lì?

«Beh.. Girai attorno allo stadio, che era chiuso. Un’ora. Due ore. Nel piazzale...».

Come quelli che devono prendere la patente e fanno pratica, ha in mente?

«Più o meno. Alzavamo la testa e ci prendeva un’emozione... Emozione fortissima».

Tanto da piangere?

«Da piangere, certo. Io, mamma e papà. Mi avevano accompagnato a Milano».

Dopo quanti giorni tornarono in Argentina?

«Quattro anni».

Quattro anni?

«Siamo molto legati. Una famiglia semplice e forte».

Dove dormivate?

«I primi giorni ci misero all’Hotel Carlton, via Senato, dopodiché cercammo una casa non lontano dalla Pinetina di Appiano Gentile per gli allenamenti. Via Senato: la prima strada che ho imparato a memoria. La percorrevo avanti e indietro».

Fin dove si spingeva? Nel Quadrilatero della Moda?

«Da nessuna parte. Aspettavo di andare alla Pinetina».

Appunto. È famoso per la disciplina, la costanza. Ma una bravata di quelle da calciatorel’avrà fatta. Una lite in discoteca, una paparazzata...

«Niente di niente, davvero. Sempre che non sia una pazzia la mossa del ristorante».

Che cos’è successo?

«Il primo ristorante che ho acquistato. Il “Gaucho”. Andai con Guglielminpietro, altro calciatore argentino. Locale pieno ma cibo non proprio argentino. Scoprimmo che il titolare era, con rispetto, messicano. Noi volevamo investire dei soldi. “Senti, ti compriamo il ristorante”».

L’Argentina agli argentini e andiamo avanti. Quando non è nella sede dell’Inter dove la troviamo?

«Al campo sportivo della Triestina, zona via Novara. Gioco ogni tanto. Di recente con Eros Ramazzotti e Alessandro Cattelan».

Per pranzo e cena?

«Santa Lucia: bell’ambiente, caloroso. E il fusion Qor. Il proprietario merita».

Per quale motivo?

«Interista a livelli assoluti».

L’ha studiata la storia di Milano?

«Intende l’ossobuco?».

Non intendevamo quello ma visto che già ci siamo vediamo se supera l’esame. Provi a pronunciare...

«Cassoeula?».

Non male. Dove l’ha conosciuta?

«Casa Moratti. Con Prisco e Facchetti. Certe cene, tante risate. Prisco m’interrogava sul dialetto. Con Moratti siamostati spesso in Duomo, io e lui, dove continuo a infilarmi appena posso. Prego e salgo in cima, porto i bimbi magari di ritorno dal negozio Disney».

Le piace il panorama?

«Vede, i nuovi grattacieli... Belli son belli, per carità. Però forse non c’entrano tanto col profilo classico di Milano».

I giorni scorsi è stato in Comune dal sindaco Pisapia.

«Abbiamo parlato della partita d’inizio maggio. Un grandissimo evento per Expo. A San Siro. Il sindaco mi ha incaricato di fare le formazioni».

Chi inviterà?

«I migliori in attività e non. Grandi interisti e grandi milanisti. Magari ne parlo con l’amico Paolo Maldini».

In carriera quali i calciatori più difficili da marcare?

«Zidane».

Ma il più forte di tutti?

«Ronaldo. Gli avversari volevano abbatterlo e non riuscivano nemmeno a prenderlo. Uno spettacolo. Però non dovevamo parlare di calcio, giusto?»