Walter Zenga e la sua vita nerazzurra. Esce domani il libro autobiografico dello storico portiere dell'Inter ("Ero l'uomo Ragno") che non ha ancora rinunciato al sogno di allenare la sua squadra del cuore. «Cosa sarei disposto a fare per allenarla? Di tutto, ma non è un percorso facile. L'Inter però è casa mia, mi sento una bandiera nerazzurra, sono stato lì 22 anni. Nonostante io sia irruento. Ho sbagliato quando ho lasciato il Catania e la Stella Rossa. Se l'ho fatto è stato per i soldi, mi offrivano di più e per questo so di aver sbagliato. Mi sarebbe servito per maturare e crescere», ha detto in un'intervista al Corriere della Sera.
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Zenga: “L’Inter è casa mia, mi sento una bandiera. Ho sbagliato due volte. Come padre…”
L'ex portiere nerazzurro si racconta in un'autobiografia che parla di lui come calciatore e come uomo
Ha anche confessato le difficoltà dell'essere padre: «La follia delle follie con Elvira (Carfagna, la prima moglie, ndr) ci siamo sposati a vent’anni, troppo giovani, lo so bene. Poi ci separiamo, senza figli. Dopo sei mesi ci rimettiamo insieme, annulliamo la separazione e facciamo un figlio. Qualche mese dopo ci separiamo definitivamente. Io per anni non ho parlato con mio padre, ho giocato Europei, Mondiali e non si è fatto sentire. Mi ha detto 'ti voglio bene' per la prima volta. Mi ha scritto una lettera nella quale diceva che mi aveva seguito sempre, che si era successo successi e critiche e che mi voleva bene. Ero distrutto».
«Le parole dei miei figli in tv mi hanno devastato - ha aggiunto - però li capisco, quando ci si separa non ci sono vincitori o vinti. Ho cercato di vederli tutte le volte che potevo. Ci siamo parlati a lungo poi, ci siamo visti. Per i miei figli in epoca covid ho fatto un viaggio su un aereo privato e ho fatto la quarantena, aspettato i test al tampone e poi sono riusciti a vederli per qualche giorno prima di tornare in Italia. Ecco perché quando mi chiedono se sono stato un buon padre mi dico sempre di sì».
La pugnalata più grande? «Quando l'Inter decise per lo scambio con Pagliuca. Non erano chiari i termini. Accettai di andare ma mi dissi che sarei tornato. Le amicizie nel calcio? Vialli, per me è un fratello. Poi Mancini, ma potrei anche dire Bergomi, Gullit, Sinisa. Tanti amici milanisti: Billy, Maldini, giochiamo insieme da quando eravamo piccoli e c'era rispetto tra noi perché eravamo le bandiere con cui se la prendevano i tifosi avversari. La partita più terribile è stata quella in cui abbiamo vinto la Coppa Uefa col Salisburgo ma sapevo che avrei dovuto lasciare l'Inter».
(Fonte: Corriere della Sera)
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