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Altafini: “Milan, ora è un’altra musica: Brahim cento volte meglio di Calhanoglu”

Altafini: “Milan, ora è un’altra musica: Brahim cento volte meglio di Calhanoglu”

Lunga intervista concessa da José Altafini a Libero. L'ex attaccante ha parlato di Juventus-Milan ma non solo

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da José Altafini a Libero. L'ex attaccante ha parlato di Juve-Milan ma non solo.

José, il Milan è in ottima forma, la Juve vuole rilanciarsi: come vede la sfida?

«Dopo la vittoria col Malmoe , la Juve ha ristabilito umori e ritrovato serenità ma ora deve rincorrere 4-5 squadre, non è facile. Il Milan si è fatto valere col Liverpool reagendo al gol dell’1-0, ma ha giocato il giorno dopo ai bianconeri: per me potrebbe accontentarsi di un pari, mentre i rivali devono per forza vincere».

Che tipo di problemi ha avuto finora la Juve?

«Il punto critico per me è sistemare la fase difensiva, escludendo Szczesny che può avere un momento no. Ma Allegri ha quattro giocatori per rialzarsi come Dybala, Chiesa, Cuadrado e  AlexSandro. Certo, non c’è più Ronaldo che ha portato anche perdite economiche societarie insieme al Covid, ma così la squadra non gioca più per un giocatore e ha più soluzioni».

Nel Milan, Maldini e Massara stanno puntando soprattutto sui giovani. È la scelta giusta?

«Il Milan ha giovani di valore, ma a loro vanno affiancati sempre giocatori d’esperienza. Ibrahimovic ha tolto problemi mentali a chi prima non reggeva la pressione. E ora in campo è tutta un’altra musica e c’è grande personalità. Il piano della dirigenza è giusto».

Questa estate è arrivato Locatelli nella Juve, può dare la scossa in mezzo al campo?

«Giocatore bravo, importante anche nella Nazionale di Mancini. Ma non è ancora in grado di cambiare il volto della squadra. Sicuramente un bell’affare della dirigenza, ma non gli si metta tutto il peso della squadra sulle spalle».

Il più bel Juve-Milan che ricorda?

«Ho ancora in testa quel 5-1 alla Juve nel novembre del 1961 a San Siro. Era arrivato da poco Dino Sani in quel Milan fatto di campioni, dove giocavano Cesare Maldini e Rivera, e dove da poco ci aveva salutato Schiaffino. Allora feci quattro gol, poi a fine stagione arrivò l’ottavo scudetto».

La nostra Nazionale ha vinto a Euro 2020, ma in Italia molte società credono ancora poco ai nostri giovani.

«Se io avessi fiducia in un giovane, lo farei sempre giocare 4-5 partite di fila e in ruoli diversi. Nel 1999 la Juve comprò Zambrotta dal Bari e ha giocato prima come ala sinistra, poi terzino nel Milan. Prendiamo un sacco di giocatori dall’estero, ma diciamoci la verità: nella Nazionale di Mancini ci sono giovani con grande carattere e responsabilità. Faccio un nome: Raspadori, merito del Sassuolo che lo ha fatto crescere come Locatelli. La colpa è però anche degli allenatori, che vogliono vincere le partite con i giocatori che hanno già una nomea e a volte non guardano bene nel proprio organico».

Nel Milan è arrivato a fine mercato Messias dal Crotone, fino all’anno scorso sconosciuto ai più. Cosa può portare?

«I brasiliani non hanno paura di nulla. Se giocano contro 10 o 100mila tifosi che fischiano non sentono la differenza, sono sicuri di loro. A volte sono esagerati in qualche tocco, ma dispongono di

caratteristiche fantastiche. Il Milan dia fiducia a Messias, che può dire la sua».

Brahim Diaz può diventare un vero 10 da Milan o preferiva Calhanoglu?

«Preferisco cento volte Brahim. Per me il giocatore più importante in una squadra è quello che punta la difesa avversaria, sul quale farei sempre affidamento se fossi allenatore. Hakan non lo faceva, Diaz va sempre contro i difensori mandandoli in difficoltà. Un po’ come fanno Dybala e Cuadrado nella Juve».

Il calcio di oggi è fatto di procuratori che comandano, giocatori strapagati e accordi tra società che superano i 100 milioni. Le piace?

«Per i giocatori, la legge Bosman è stato un bene. Ma le società ne hanno pagato le conseguenze. Il primo procuratore che sapeva fare il suo mestiere e iniziò a guadagnare soldi dalle operazioni fu Antonio Caliendo. Una volta mio zio, che curava i miei interessi, andò a trattare con dei dirigenti di una società, ma venne rimandato indietro con l’insulto di essere un “mercenario”. Trovo ridicolo

che oggi i parenti di un calciatore, che sia il papà o la moglie, facciano i suoi interessi. Per di più i presidenti degli Anni 60, da Moratti a Rizzoli, compravano la società e la lasciavano economicamente sana, oggi chi saluta spesso lo fa con una marea di debiti e per colpe proprie».

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