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C’è un Bergomi oggi?
«Io mi rivedo un po’ in Di Lorenzo. Chiaramente è un calcio diverso quello di oggi, ma anche lui è uno concentrato, sul pezzo, non sbaglia quasi mai una partita. È intelligente e mai banale. E nel recente passato direi Barzagli».
Oggi in quale ruolo giocherebbe?
«Per le mie caratteristiche mi vedrei da braccetto di destra alla Darmian».
Ripercorriamo velocemente la sua carriera con alcuni fermo immagine: la prima gioia?
«Il 6 settembre 1981, segnai il gol del 2-2 al Milan negli ultimi secondi in un derby di Coppa Italia che ci permise di superare il girone di qualificazione. Alla fine vincemmo in finale col Torino e per molti anni rimase l’ultimo successo dell’Inter in Coppa Italia (fino al ’04-05, ndr)».
La gioia più bella?
«Il Mondiale ’82, impossibile non sceglierlo. Sarò sempre grato a tutti i giocatori di quel gruppo e Bearzot, un secondo papà per me, il mio lo persi a 16 anni. Aggiungo anche lo scudetto dei record con l’Inter nel 1988-89. Quel titolo valeva tre di oggi perché ci confrontavamo con il Milan degli olandesi, il Napoli di Maradona, la Sampdoria di Vialli e Mancini, la Juventus, le romane, la Fiorentina di Baggio».
La sorpresa inaspettata?
«Il quarto Mondiale nel ‘98 in Francia. Il 6 maggio giochiamo a Parigi la finale di Coppa Uefa, ma io sono infortunato. In tribuna il ct Cesare Maldini mi chiama e mi dice: “Se guarisci ti porto al Mondiale”. Non giocavo in nazionale dal ’91, fu qualcosa di incredibile. In quel caso mi aiutò molto il cambio di ruolo che mi fece fare Gigi Simoni che mi trasformò in un libero, anche se lo interpretavo in una chiave un po’ più moderna, da marcatore come oggi sono i centrali della difesa a tre tipo Bremer, Buongiorno o Acerbi».
Lei è stato ed è tuttora una bandiera dell’Inter. Qual è stata l’avversaria di sempre?
«Inizialmente il Milan, perché già nelle giovanili mi confrontavo con loro. Il derby è la partita che ho giocato di più, 44 volte; soffrivo nel prepararla, ma poi che gusto giocarla. Quando però nel 1995 arrivò Moratti, lui insieme ai gradi ex della Grande Inter come Facchetti e Mazzola, cambiarono la nostra visione e ci dissero che la rivale storica era la Juventus».
I bianconeri per lei cosa hanno rappresentato?
«La nazionale, perché a livello di club negli anni ’80 non ci furono grandi duelli. Ma in azzurro le colonne del gruppo erano tutti juventini: Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli, Paolo Rossi. Grandi uomini e grandi giocatori».
Per concludere, le chiedo tre top-11 della sua carriera. Il primo, ovviamente, è quello dell’Inter.
«In porta Zenga; in difesa io e Ferri, Beppe Baresi a destra e Brehme a sinistra. A centrocampo Berti, Matteoli e Matthaus, il giocatore più forte con cui abbia mai giocato, una mentalità pazzesca. Davanti è dura sceglierne solo tre, me la cavo con Ronaldo, Altobelli e Rummenigge. Può andare?».
Veda lei... il secondo top-11 è quello dei compagni in nazionale.
«Scelgo giocatori che non ho preso per l’Inter. Dunque in porta Zoff; in difesa Collovati, Scirea, Franco Baresi e Maldini. A centrocampo Tardelli e Giannini; Bruno Conti e Baggio a inventare dietro Paolo Rossi e Vialli».
Infine, il top-11 degli avversari.
«Durissima. In porta il Pagliuca della Sampdoria, a proteggerlo Costacurta e Baresi, Gentile e Cabrini che a malincuore ho tenuto fuori dal top-11 azzurro. A centrocampo Pirlo, che ho affrontato all’inizio della sua carriera e il Cholo Simeone. Davanti metterei Gullit, Maradona e Zico alle spalle di Van Basten».
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