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Cairo: “Non sono d’accordo col nuovo protocollo. Sbagliato giocare a tutti i costi”

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Della situazione in Serie A, dei continui rinvii causa contagi ha parlato il presidente del Torino Urbano Cairo a La Gazzetta dello Sport

Andrea Della Sala

Della situazione in Serie A, dei continui rinvii causa contagi ha parlato il presidente del Torino Urbano Cairo a La Gazzetta dello Sport:

Presidente Cairo, ma cosa sta succedendo in Serie A?

«È un momento complicato in cui dobbiamo sforzarci di tenere alcuni punti fermi: il campionato è un bene prezioso per tutti e deve andare avanti secondo il calendario deciso, ma esistono momenti delicati in cui questo, purtroppo, non può succedere e deve prevalere il buon senso. In questi casi bisogna rispettare anche il merito sportivo come linea guida delle azioni delle istituzioni: se c’è un numero troppo elevato di positivi, non ha senso giocare, costi quel che costi, anche perché altrove in situazioni simili le partite vengono rinviate e poi recuperate senza problemi».

Che fare, quindi, con il nuovo protocollo “emergenziale”?

«Personalmente, non sono d’accordo con questo nuovo protocollo. Appiattirsi sulle norme Uefa è sbagliato, perché la Uefa deve conciliare le esigenze di molti campionati e non ha altre date da utilizzare. Un conto è dire che con alcuni positivi si può giocare, e su questo siamo tutti d’accordo, un altro è dire che bisogna farlo anche quando quel numero schizza e diventa fuori controllo. Purtroppo, è stato approvato in fretta e furia, nell’emergenza tra mercoledì sera e ieri: se si è dovuto correre così tanto adesso, è perché evidentemente abbiamo perso del tempo prima. Eppure durante le vacanze di Natale si potevano osservare le cose con la giusta calma e cercare l’equilibrio migliore tra lo svolgimento del campionato, la tutela del merito sportivo e, ovviamente, la salvaguardia della salute».

Quale l’esempio a cui guardare, allora?

«In Premier League hanno dimostrato di saperci fare, hanno preso decisioni ragionevoli nonostante avessero casi in aumento più che da noi e sempre con stadi pieni. Lì non è mai stato preso in considerazione l’impiego di ragazzi della Primavera senza alcuna presenza nel campionato maggiore, ma le istituzioni hanno provato a salvaguardare sia il proseguimento della stagione sia i valori del campo. Pur dovendo giocare ben più partite di noi tra Fa Cup e Coppa di Lega, hanno semplicemente evitato di far giocare quando non c’erano le condizioni materiali per farlo senza forzature. L’esempio dell’ultimo Boxing Day è emblematico: mentre da noi il campionato italiano era fermo, la Premier ha giocato quel turno e altri due con un bellissimo spettacolo, nonostante il rinvio di otto partite su trenta. Per inciso, io ero e sono convinto che il Boxing day del 26 dicembre con i turni successivi andassero fatti anche in Italia: quando abbiamo giocato erano belli e andavano ripetuti, per farli diventare un’abitudine anche da noi».

Ma ci sono margini nel calendario per recuperare così tante gare che si accumulano?

«Torniamo sempre al modello inglese, che genera il triplo del nostro fatturato e sa spesso identificare le giuste soluzioni ai problemi con intelligenza. Se riescono loro a trovare delle date ragionevoli di recupero, nonostante i molti più impegni, perché non dovremmo trovarle anche noi, magari più avanti? Bisogna solo evitare pasticci e uscire dalla confusione con regole chiare, che tutelino tutti: sia chi non è in condizione di giocare, sia chi invece potrebbe scendere in campo».

Pensa che, nella gestione di questa vicenda, sia effettivamente stato dato troppo potere alle Asl?

«Le Asl hanno un potere derivante dall’attività che svolgono per il servizio sanitario nazionale delle singole regioni. È dato loro per legge. Poi, sicuramente, ci dovrebbe essere uniformità di giudizi e comportamenti, senza trascurare il tema della salute pubblica, soprattutto quando ci sono ondate particolarmente contagiose come questa. Insomma, va riconosciuto il lavoro importante che fanno, ma bisogna evitare distonie nella valutazione tra un’Asl e l’altra».

Come riuscirci?

«Facendo intervenire a monte la Lega. Se si decidesse per tempo, allora il caos verrebbe superato. Nei casi in cui si hanno troppe positività, non devi farti scavalcare dalla Asl di turno, ma devi decidere tu stesso di fermarti, in quanto istituzione calcistica e in base a delle norme ragionevoli che noi tutti adesso dobbiamo darci».

Va quindi stabilito a priori un nuovo numero di positivi oltre il quale fare scattare la sospensione del match?

«È un qualcosa che va regolamentato, per evitare di danneggiare lo spettacolo e salvaguardare la regolarità del campionato. Che partita è quella in cui vedi alcuni ragazzini della Primavera confrontarsi con dei professionisti? Il numero va studiato insieme, proprio per evitare che si vada in ordine sparso. E sempre guardando a quello che hanno fatto altrove. In Inghilterra le decisioni sono state prese quando loro avevano già oltre 100 mila casi al giorno e con partite sempre molto ravvicinate. Giocare a tutti i costi, arrivando addirittura ad attingere a dei giocatori classe 2003, è davvero una estremizzazione esagerata».

Ci sono margini per intervenire in tempo, già prima del prossimo turno di domenica?

«Domani (oggi, n.d.r.) è prevista un’assemblea di Lega e si affronterà il problema in maniera puntale per evitare di prendere strade sbagliate. Non critico assolutamente la Lega perché cerca di fare le cose per bene, ma in questo caso si può fare decisamente meglio: siamo in tempo e ci sono margini per l’azione e per gli eventuali recuperi».

Ma andando avanti così c’è il rischio di non chiudere questa stagione?

«Sgombriamo subito il campo. Abbiamo portato a compimento la stagione 2019-20 che era ben più complessa: allora non conoscevamo la pandemia, ora sappiamo il nemico che abbiamo davanti e abbiamo l’arma potente dei vaccini. Con fatica e impegno questa stagione si può gestire, ma senza fughe in avanti. Pur non sottovalutando i pericoli e la diffusione del contagio, questo rimane l’obiettivo minimo. Poi esistono altri obiettivi: il più importante è quello di proseguire in maniera trasparente e senza alterare il merito sportivo».

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