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Casamonti: “Prima di demolire San Siro ci penserei due volte. E’ lo stadio dove si vede meglio…”

L'architetto ha parlato della situazione di San Siro per Inter e Milan

Andrea Della Sala

L'architetto Marco Casamonti, intervistato dal Corriere dello Sport, ha detto la sua su San Siro e sulla situazione stadi in Italia. Ecco le parole dell'architetto che ha curato la nascita della Dacia Arena: «La situazione attuale è drammatica. Il calcio è lo sport più importante del paese, muove folle e coscienze sociali. Eppure siamo molto dietro. A parte qualche eccezione, i nostri stadi sono figli dei Mondiali del 1990. Il punto è che spesso si tratta di impianti polisportivi. Guardare una partita con una pista di atletica di mezzo, come all’Olimpico di Roma, significa che un gol sotto la curva opposta devi fartelo raccontare. In molti casi sono impianti non conformi alle normative, privi di comfort, senza copertura: nel 2020 è inaccettabile bagnarsi sotto la pioggia come a Firenze».  

Esistono tratti comuni agli stadi per nazionalità? Esiste un modello per l’Italia? 

«Esistono delle tendenze. Un modello, che a me pare antico, superato, spinge alla costruzione di stadi monofunzionali, come in Brasile per i Mondiali del 2014 e come sta accadendo in Qatar il 2022. Sono impianti enormi sul cui futuro non ci si interroga. Anche lo stadio del Barcellona è monofunzionale ma vive di calcio oltre il giorno della partita con il museo e con i negozi. Questa è la chiave di tutto: uno stadio non può popolarsi ogni 15 giorni. L’Inghilterra in questo senso è più avanti di tutti. Un caso interessante è rappresentato dallo stadio olimpico di Pechino, il famoso “Nido di uccello”. Un progetto pazzesco, con la firma di Herzog & de Meuron, gli architetti di Basilea che hanno costruito pure l’Allianz a Monaco di Baviera. Finiti i Giochi, in Cina non sapevano cosa farne. Era sovradimensionato per ogni uso possibile, al punto che due anni fa all’interno hanno allestito una pista di kart. Ma è uno stadio con una qualità architettonica così alta che i turisti pagano il biglietto per visitarlo». 

Costruire daccapo o ristrutturare? Milano ne discute per San Siro. Qual è la sua idea?  

«Prima di demolire quella che chiamiamo la Scala del calcio, verso la quale esiste anche un rapporto di affetto, ci penserei due volte. Se i milanesi perdono San Siro, perdono un tratto identitario. Poi ci si abitua, lo so. Ma prima capirei se è ancora funzionale nel calcio d’oggi. In fondo è lo stadio italiano nel quale la partita si vede meglio. In generale, laddove fosse necessario abbattere e ricostruire, sono propenso a farlo nello stesso luogo del precedente impianto».  

 

Perché? 

«Per una questione di sostenibilità ambientale. Uno stadio occupa molti ettari di terreno. Come si fa per la plastica e per le bottiglie, dovremmo provare a riciclare quel che abbiamo. Molti stadi sono nati in luoghi che erano periferie, ma nel frattempo le città si sono riorganizzate rispetto alle necessità, portando servizi, infrastrutture, mobilità. Sono già in zone appetibili e ben serviti. Costruire in aree lontane dal centro costringe a ripensare una serie di cose. Prima di tutto: chiedersi cosa fare dell’impianto vecchio. Cosa ne fa Roma del Flaminio? Anche nei nostri divertimenti deve essere presente un atteggiamento ecologico».  

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