Sulle pagine del Corriere dello Sport, Angelo Carotenuto commenta in un editoriale le parole e la strategia di Antonio Conte dopo la sconfitta contro il Borussia Dortmund. Per il giornalista, quella dell'allenatore dell'Inter è una 'vita in tackle'.
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La vita in tackle di Conte. CdS: “Da Lippi al processo a Giraudo e Agricola, per lui lo scontro è natura”
L'editoriale del quotidiano sull'allenatore dell'Inter
"Nei pensieri di Antonio Conte la vita è sempre stata scontro, solo che molti anni fa lo chiamava tackle. Bisogna ricordare il calciatore per riconoscere l’uomo, uguale, dentro l’allenatore. Quando quasi trent’anni fa - ne aveva 22 - in un pomeriggio d’autunno entrò per la prima volta nella sede della Juve, Giampiero Boniperti volle portarlo davanti a una vetrina nel suo ufficio, dove tra una Coppa e l’altra, prima che nel calcio ci fossero i musei, custodiva un vecchio paio di scarpette. Le sue. Una specie di altare laico della fede bianconera che il presidente mostrava a tutti i nuovi arrivati. Quelli ci sfilavano davanti, respiravano dalla reliquia cotanta gloria, e ne uscivano come impregnati. Si racconta che Conte quel giorno le sfiorò mormorando: «Credevo di essere arrivato, invece non ho conquistato proprio nulla".
"È come se da quel paio di scarpette e da quella vetrina Antonio Conte non avesse mai più da allora sollevato il palmo della mano. Ha sempre un punto nuovo da raggiungere, qualcosa da conquistare, sempre la stessa insoddisfazione per non essere arrivato ancora da qualche altra parte, con la medesima aria dannata che aveva Giampiero Albertini in un Carosello degli anni 70, quando faceva impazzire il commesso di un negozio con le sue richieste e usciva in retromarcia insofferente, sentendosi dare dell’incontentabile e rispondendo: sì, sempre".
"Lo scontro per Conte è natura. In ogni zona del campo. Senza calcolo su chi sia in posizione dominante. A Marcello Lippi che un giorno gli tolse la fascia da capitano della Juventus disse che avrebbe fatto meglio a scusarsi. In pubblico glielo fece sapere, non dentro lo spogliatoio. A Cesare Maldini che era il ct dell’Italia ’98 e che lo aveva escluso dai Mondiali mandò a dire che su quella squadra e su quel periodo andava steso un velo pietoso. A Cristiano Lucarelli che si era beato della propria granatitudine dopo un gol in un derby finito 3-3 - da 0-3 per la Juve – rispose che «ognuno ha la maglia che si merita». Lo stesso muso duro opposto in tribunale al giudice Giuseppe Casalbore quando quello si disse indispettito da una serie di non so-non ricordo mentre lo interrogava come testimone nel processo a Giraudo e Agricola per l’abuso di farmaci. «Io dormo per conto mio, sono un isolato. Ci sono compagni che divorziano e nessuno ne sa niente".
"Due volte Antonio Conte, a Bari e alla Juventus, ha lasciato la squadra e l’azienda per cui lavorava dopo aver fissato dei programmi. Quello che ha guadagnato lo rende libero di vivere senza mediazioni, di inseguire solo la sua maniera estrema di stare al mondo. È sempre tutto un tackle con un altro nome".
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