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Condò: “Per salvare il calcio servono salary cup e stadi. Inter? Vidal e Sanchez…”

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Intervenuto sulle colonne di Repubblica, Paolo Condò ha illustrato i punti chiave perché il calcio italiano possa tornare in auge

Matteo Pifferi

Intervenuto sulle colonne di Repubblica, Paolo Condò ha illustrato i punti chiave perché il calcio italiano possa tornare in auge:

"Qualche giorno fa il presidente del Milan Paolo Scaroni ha inquadrato molto bene il problema che impedisce al calcio di accedere agli aiuti statali — i cosiddetti “ristori” — previsti per altri ambienti di lavoro penalizzati dalla pandemia. Scaroni ha testualmente detto (alla Gazzetta dello Sport): «Paghiamo gli ingaggi milionari garantiti ai calciatori, per cui è difficile fare pena». Le cose stanno proprio così, ma la questione non riguarda soltanto l’immagine. È sostanziale. Il calcio di vertice non è un’attività commerciale come le altre, che in caso di crisi può contare a buon diritto sul sostegno della mano pubblica. Il calcio di vertice — quello di base è tutt’altra cosa — è una competizione feroce i cui attori, all’interno ovviamente di un sistema di regole, per vincere sono liberi di muoversi come meglio credono. Se per esempio alcuni grandi club come Juventus (attraverso un aumento di capitale) e Inter (attraverso l’emissione di un bond) a sorpresa si sono tuffate sul mercato malgrado le note difficoltà è anche perché quel sistema di regole — il Financial Fair Play — è stato molto allentato dall’Uefa per fronteggiare i danni dati dalla pandemia. Siccome non sarà così per sempre — in primavera verranno rese note le nuove regole, presumibilmente in vigore gradualmente da gennaio 2023 — è un momento in cui molti si stanno muovendo in tutta Europa, perché questa e la prossima sessione estiva saranno le ultime prima di una nuova stretta".

"È opportuno chiedere i ristori con una mano mentre con l’altra si firmano maxi-assegni a giocatori e procuratori? Ovviamente no, e infatti certe richieste sembrano propedeutiche a ottenere misure politicamente più accettabili come il ritorno a una capienza superiore — totale, se davvero l’ondata di Omicron si togliesse di torno nelle prossime settimane come molti esperti prevedono —, qualche sgravio fiscale e, in prospettiva, la semplificazione delle procedure per la costruzione o la ristrutturazione degli stadi di proprietà: la vigilanza contro gli ecomostri deve restare altissima, ma in un’economia di mercato non è possibile bollare come sterco del diavolo qualsiasi progetto che preveda un guadagno. È ovvio che chi si sobbarca la spesa per un nuovo impianto ne sia attratto per il margine che può ricavarne aggiungendo una zona commerciale: si boccino le operazioni “pugno in un occhio”, ma quelle sostenibili andrebbero approvate in tempi molto più rapidi degli attuali".

"I modi per aumentare le entrate sono tanto più preziosi perché le società calcistiche (di vertice, va sempre ribadito) continuano a dimostrarsi incapaci di ridurre le uscite. Negli ultimi due anni ogni famiglia economicamente toccata dalla pandemia per prima cosa ha tagliato le spese. I bilanci dei club ne presentano una abnorme, il monte stipendi dei giocatori, e al di là del posticipo/ spalmatura di alcune mensilità nulla è stato fatto per toccare la principale voce di spesa, né quella collegata delle commissioni ai procuratori. La ragione ritorna al tema della competizione: anche prescindendo dalle perplessità legali, che ci sarebbero state, un taglio lineare del 10-20% avrebbe spinto i giocatori migliori al trasferimento in altri campionati, causando alla Serie A un impoverimento tecnico (e dunque industriale) ben superiore. Ne consegue che l’unica soluzione sarebbe l’introduzione del salary cap su scala europea. Nessuno potrà mai pareggiare l’offerta del Toronto a Lorenzo Insigne, o quella che anni fa convinse Graziano Pellé a sviluppare la sua carriera in Cina; ma se vuoi far parte del calcio che conta, quello che si gioca in Europa, devi accettare un tetto agli stipendi",

"Succederà? No, perché economicamente la Premier League è troppo forte e non ha motivo per adeguarsi alle ristrettezze di altri campionati. Sarà già molto se Ceferin farà passare un nuovo modello di Fair Play che non conteggi soltanto il costo dei cartellini come oggi, ma anche quello di stipendi e commissioni: sarebbe un modo per disincentivare la politica dei parametri zero che ha permesso campagne di mercato come l’ultima del Psg, che quest’anno ha iscritto a bilancio il solo Hakimi (comprato dall’Inter per 67 milioni) pur portando al Parco dei Principi anche Messi, Donnarumma, Sergio Ramos e Wijnaldum. Naturalmente stiamo tutti pensando che il sostegno dato a Ceferin da Al-Khelaifi nella battaglia contro la Superlega possa avere un ruolo nelle riforme ormai imminenti… Beh, diciamo che il presidente dell’Uefa ha un’ottima maniera per dimostrare che siamo dei malfidenti. A livello europeo sono centinaia i calciatori che guadagnano cifre in grado di metterli ampiamente a posto per tutta la vita, e decine quelli che hanno sistemato i figli, i nipoti che verranno e pure le generazioni successive. Per molti di loro il denaro è ormai un concetto metafisico, o meglio il parametro di uno status e di una gerarchia. Facciamo i nomi. Può mai essere normale che Paulo Dybala guadagni come Ramsey o Rabiot? O che i più pagati dell’Inter siano Sanchez e Vidal? Quando si affronta questo discorso i procuratori rispondono sempre con la stessa formuletta, «non abbiamo puntato la pistola alla tempia dei dirigenti per farli firmare», nessuno che faccia mai lo sforzo di inventare un’altra coercizione. Ma è accaduto lo stesso dall’altra parte, eppure i giocatori stentano ad accettare che un loro collega più scarso in campo sia stato più abile nel negoziare il contratto. Intendiamoci: gelosie anche economiche esistono in ogni ambiente di lavoro. I calciatori non fanno nulla di diverso, se non che le loro battaglie del grano si svolgono a livelli siderali rispetto a un ufficio, a una banca, a una www. Il salary cap imporrebbe anche negli spogliatoi una meritocrazia più attenta. Ma in questa situazione, come dice Scaroni, per il mondo del calcio (di vertice) è difficile fare pena".

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