Nel segno, indelebile, del padre Giacinto. Nel segno di quello che più che un semplice giocatore - terzino rivoluzionario per il suo carattere mite e la sua propensione ad andare anche in attacco - è stato e sarà sempre l'emblema dell'Inter. Gianfelice Facchetti ha nel dna i colori nerazzurri e proprio per questo il passaggio di proprietà della società dalla famiglia Moratti a quella dell'indonesiano Erick Thohir non può lasciarlo indifferente. Il suo commento al momento nerazzurro arriva nell'ambito di Overtime - il festival dell'etica e del racconto sportivo che si sta svolgendo a Macerata - dove il milanese ha proposto il libro "Se no che gente saremmo", già vincitore del premio Bancarella sport.
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Facchetti: “Thohir? Mio padre avrebbe capito. Fusione col Milan? No perchè loro sono…”
Nel segno, indelebile, del padre Giacinto. Nel segno di quello che più che un semplice giocatore – terzino rivoluzionario per il suo carattere mite e la sua propensione ad andare anche in attacco – è stato e sarà sempre...
Facchetti, da tifoso interista come sta vivendo questo momento così delicato?
"Qualche perplessità c'è, ma non perché la società viene affidata a uno straniero. Avrei le stesse perplessità se si trattasse di un imprenditore italiano: si allontana dai vertici societari una famiglia che è stata molto importante per l'Inter e per tutto il calcio italiano. Dire Moratti significa dire Milano, perciò è normale che dispiaccia. I tifosi devono accompagnare questo cambiamento, come stanno già facendo. Bisogna stare vicini alla nuova proprietà, far sentire anche a chi subentra ora che sta entrando a far parte della storia e mantenere la stessa passione".
E suo padre Giacinto cosa avrebbe pensato?
"L'Inter è stata tutto il suo mondo dal 1961 fino al 2006 e quindi ha vissuto tutti i cambiamenti non solo nella società nerazzurra, ma anche nel mondo e nella mentalità collettiva. Oggi nel calcio moderno contano molto i bilanci, che devono essere in pareggio. A questo punto, il passaggio di proprietà si è rivelata praticamente inevitabile e quindi di certo avrebbe accettato. Mio padre non era certo un nostalgico, avrebbe capito la situazione e l'avrebbe vista come un'opportunità per migliorare le cose. Ha vissuto i suoi anni da dirigente dell'Inter allontanandosi ogni tanto dalla società, ma poi ritornando perché era la sua vita. Era convinto che l'unico modo per cambiare le cose fosse impegnarsi in prima persona".
Nel suo libro "Se no che gente saremmo" racconta un Giacinto Facchetti privato, ma non troppo...
"Dopo la morte di mio padre, tutta la mia famiglia ha ricevuto grandissimi attestati di stima. Moltissime persone venivano per esprimerci non solo il loro cordoglio, ma anche raccontarci aneddoti o semplici ricordi legati a una partita vista dagli spalti, a una stretta di mano o a uno sguardo scambiato con mio padre. Ho lasciato sedimentare tutto questo e un giorno ho sentito l'esigenza di guardare foto, articoli di giornale e riprendere tutte le testimonianze che avevamo ricevuto per farne un libro. Il filo conduttore è sempre il rapporto che io ho avuto con mio padre, ho cercato di restituire alla gente quello che era Giacinto Facchetti tanto nel pubblico quanto in alcune occasioni private".
Recentemente Ernesto Paolillo, ex amministratore delegato dell'Inter, ha lanciato una provocazione: realizzare una fusione fra Milan e Inter. Cosa ne pensa? Come sarebbe per lei trovarsi un tifoso milanista accanto allo stadio durante una partita?
"Non sarebbe un problema, mia moglie è milanista quindi sono abituato a stare a contatto con i rossoneri (ride, ndr). Lei non è una grande appassionata di calcio, ma il derby è l'unica che vediamo insieme perché è troppo importante. Fondere Milan e Inter però sarebbe impossibile, il calcio è bello anche perché ci sono i duelli con il Milan. Altrimenti come faremmo noi interisti? Scherzosamente, il Milan è il lato oscuro del nostro cammino. Non potremmo rinunciare agli avversari di sempre".
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