Nel breve volgere di otto giorni, Walter Mazzarri, ha (in ordine sparso): addentato una bottiglietta di plastica tipo vampiro, improvvisato facce disperate in mondovisione, strappato capelli (i suoi), confidato cose non meglio precisate al vice Frustalupi, mandato a quel paese giocatori (i suoi), perso con l’Atalanta, pareggiato con Udinese e Livorno, riservato ai gentili ascoltatori dichiarazioni post gara decisamente singolari, fatto incazzare come una biscia patron Thohir, detto cose misteriose come solo certi oracoli del genere «parleremo solo a fine campionato, a suo tempo vi dirò tutto», seriamente minato le speranze di restare sulla cadrega nerazzurra anche nella prossima stagione nonostante i 3,5 milioni di euro di ingaggio e il contratto con scadenza giugno 2015, fatto venire l’orchite alla quasi totalità dei tifosi dell’Inter. Stop.
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Una settimana decisamente pepata, quella di WM, che aveva accumulato crediti a inizio campionato e ora si ritrova con la miccia assai corta. Il confronto con il collega «bene bene» Stramaccioni è impietoso: a sette giornate dalla fine del campionato l’Inter del «fu tecnico» aveva un punto in più di Walterone, già autore della biografia intitolata «il meglio deve ancora venire». Di sicuro peggio di così è difficile. Che poi non è una questione di confronti tra il vecchio e il nuovo (ameno di disastri Mazzarri farà meglio del suo predecessore), ma di «evoluzione» della stagione. Mazzarri è partito benissimo, ha ridato dignità a giocatori mortificati (vedi Jonathan, davvero bravo), ha messo in campo una squadra poco appariscente ma certamente concreta, ha conquistato posizioni della classifica insperate, infine si è fissato sulle sue posizioni come solo certi muli. Quando è arrivato il momento di inserire la seconda punta non l’ha fatto, ha preferito subire gli avversari piuttosto che aggredirli, si è accontentato, si è fatto forte con frasi come «se arriveremo quinti avremo realizzato un miracolo», si è ripreso un po’grazie al mercato invernale, infine è crollato nella settimana appena trascorsa, molto più nera che azzurra.
In tutto questo periodo ha dimostrato di essere un grande allenatore nel senso stretto del termine, ma di certo non un grande comunicatore. E il problema non è di secondaria importanza se pensiamo a quello che vuole il sempre sorridente (ma ancor più pretenzioso) Erick Thohir da Giacarta. Non è il pareggio di Livorno a minare le chance di Mazzarri di conservare il posto, semmai il suo atteggiamento dentro e fuori al campo, la sua tendenza a lavorare con pochi e fidatissimi giocatori, il suo fastidio recondito per i giovani che saranno anche bravini, ma sbagliano, e se sbagliano allora stanno fuori e molto meglio se tornano «imparati», il suo «mani avantismo» nelle conferenze stampa che gli permette di disegnare scenari immaginifici laddove la realtà racconta di un’Inter senza idee e, soprattutto, senza attributi. È vero che non tutte le colpe sono di un tecnico che in passato non ha mai fallito, ma è anche vero che nascondersi dietro alla mediocrità della rosa non gli consentirà di iscriversi al club dei mister con la luccicanza se non dopo un altro paio di visite al santuario di Setubal. La lotta per qualificarsi all’Europa League è avvincente come una partita di rubamazzo, ma resta un obiettivo. In ogni caso difficilmente basterà per interrompere il processo di «demorattizzazione» fatto partire qualche tempo fa dal sornione indonesiano.
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