Il giornalista di Libero, Tommaso Lorenzini, ripercorre la vita del bomber nerazzurro Rodrigo Palacio: "Un gollonzo al volo contro il Catania,quello decisivo in E-League all’87’ al Partizan, due assist a Bologna, la rete con esultanza liberatoria per il sorpasso sulla Samp. Rodrigo Palacio veleggia verso i 31 anni, è arrivato all’Inter con due stagioni di ritardo (lo voleva Gasperini, che ci ha rimesso la panchina) ma lui l’ha presa bene («Al Genoa stavo da dio») e ormai non importa più a nessuno. Tantomeno a Stramaccioni, che lo scorso maggio lo chiamò dall’Indonesia appena saputo dell’acquisto. E chiarì che doveva esser pronto a giocare ovunque. Palacio ha detto sì, e si vede. Figlio d’arte (il padre José Ramón, oggi allenatore,giocava nell’Olimpo de Bahía Blanca negli Anni 80), l’attaccante argentino è sbarcato in Italia con una valigia piena di soprannomi: “la Joya”(il gioiello), “l’Hijo del viento” (il figlio del vento),“il Pajaro” (l’uccello o l’aereo), ma soprattutto “il Trenza”, “codino”. Evidente il riferimento alla treccia sulla testa, un vezzo che ha fatto tendenza e che cura da quando se la fece crescere dopo un gol strepitoso con l’Huracan. Nomi altisonanti, eppure è molto introverso: come ogni calciatore adora la playstation, ma non gli interessano le auto di lusso, soprattutto perché pare che al volante sia una schiappa. E non parlategli di studiare. Mamma Isabel lo iscrisse a Scienze Motorie. Lui invece di frequentare le lezioni andava a dormire a casa di un amico vicino all’Università. Cresciuto nell’Huracan, nel 2004 sostiene un provino col Betis ma poi passa al Banfield, prima della consacrazione nel Boca Juniors dove, pur giovanissimo, accanto a Martin Palermo e Carlos Tevez diventa presto pupillo di Alfio Basile e della Bombonera: «È lì che vorrei chiudere al mia carriera». L’attaccamento alle proprie radici esplode ancor più chiaro nel dicembre 2006, quando il Boca rifiuta 18 milioni di euro dal Barça perché Rodrigo non vuole lasciare famiglia e amici. Ma l’Europa chiama e Genova, il cui mare tanto gli ricorda la sua Bahía, sembra il posto giusto,a patto di poter dire no al 22, il numero lasciato libero da Milito, andato all’Inter: una maglia troppo pesante. Non parla italiano, all’inizio, ma un po’ con l’aiuto di Hernan Crespo, un po’ grazie al linguaggio universale dei gol, l’ambientamento è rapido. Anche perché con lui c’è sempre Wendy, con cui sta insieme dai tempi della scuola superiore e che gli ha dato due anni fa la splendida Juana. Ma non c’è solo il calcio nella testa di Palacio. Ama il basket, giocava nel Falda (lo stesso club dov’è cresciuto l’amico e concittadino Manu Ginobili), ma si è cimentato pure con tennis, ping pong e bocce. Mentre odia la piscina, «non fa per me». È appassionato di cinema e alle feste da ragazzo si impadroniva del microfono e si improvvisava cantante. Spesso parla nel sonno ma «non sono sonnambulo», anche se gli è capitato di uscire di casa in piena notte: «Una volta, a 11 anni, dalla finestra: papà pensava ci fossero i ladri»".
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Libero – Palacio, l’uomo che ama il basket e che rifiutò il Barça…
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