Mazzarri o non Mazzarri, questo non è il problema (dell’Inter). Troppo facile urlare #mazzarrivattene, come in molti tra i tifosi nerazzurri stanno facendo in queste ore. Il prode Walter, che non è comunque esente da qualche colpa tatticamente, non si aspettava certo un ambiente tutto rose e fiori, invece pare immerso nella melma più di quanto non sembri, e le sfuriate nei post-gara sembrano tentativi di rimanere a galla. Perché le difficoltà di oggi sono le difficoltà dell’Inter di ieri e dell’altro ieri, intese come ultime due stagioni. A livello di giocatori il termine perfetto per rappresentare la rosa nerazzurra è «mediocrità». Quasi inutile fare paragoni con l’anno scorso, quando almeno Milito (a questo punto nel 2012/13 aveva già giocato 1508’ in campionato, oggi 76’), Cassano e Sneijder finché c’è stato innalzavano il tasso tecnico della squadra. Mazzarri non li ha, per sfortuna, scelta o colpe altrui: deve fare le nozze coi fichi secchi,ma quelli che ha disposizione sono più che secchi.
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Se ci pensiamo infatti tra i 29 giocatori che compongono l’Inter, in pochissimi potranno alzare mai un trofeo con questa maglia. Per due ragioni precise: la prima anagrafica, visto che i nerazzurri sono terzi come età media più alta in Italia, la seconda invece tecnica, e torniamo alla mediocrità di cui sopra. Gli unici che possono sperare in un futuro migliore sono Kovacic, Juan Jesus e Icardi (se inizia a pensare meno alla Wanda e più al campo), rispettivamente 19, 22 e 20 anni. Il resto è formato da qualche buon giocatore, qualcun altro meno e da troppi senatori che vanno verso il ritiro. Per tornare in alto serve una rivoluzione. Mezza arriverà già a giugno, quando scadranno ben 8 contratti, quelli cioè di Milito, Zanetti, Cambiasso, Mudingayi, Samuel, Chivu, Castellazzi e Mariga: difficilmente più di un paio rimarranno, l’impressione anzi è che tutti verranno lasciati andare e saranno sostituiti da alcuni dei baldi giovani, da Duncan a Mbaye, oggi in giro in prestito. Per la seconda metà della rivoluzione serve però una mano che estragga soldi dal portafoglio sul mercato. Thohir lo sa, oggi ha uno spazio di manovra ridotta (i 175 milioni pagati a risarcimento del debito del club influiscono non poco). Il presidente sa pure che un intervento deciso deve essere fatto anche nella dirigenza.
Ma a gennaio non si può intervenire rivoluzionando completamente una società, visto che ci sarebbe una stagione in corso. «Non c’è nessun uomo di fiducia di Thohir che controlli cosa sta succedendo a Milano», dicono in molti. Gli esami che bisognava fare, a livello di conti e uomini, sono già stati fatti: semplicemente, fino al termine del campionato, verrà mantenuto lo status quo, anche perché non si può pretendere che dopo 3 mesi il magnate indonesiano si sappia muovere come Moratti, uno di famiglia nel calcio italiano. A giugno i cambiamenti ci saranno, anche perché la relazione fatta da Dave Kasper, manager del DC United venuto dagli Usa a dicembre per redarre un’analisi sulla situazione della squadra, è stata tutt’altro che positiva, a partire dall’area tecnica, il cui dirigente è Marco Branca. Dopo tante parole, in estate partirà davvero l’anno zero per l’Inter: basta non sbagliare le mosse, altrimenti fra 12 mesi saremo di nuovo qui a parlare di esoneri e mercato.
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