In che senso?
«Non è facile gestire i ragazzi che fanno il passaggio tra i grandi e poi tornano in Under 21: inconsciamente gli obiettivi cambiano. La sensazione di arrivare in prima squadra con una certa velocità credo sia sbagliata. La convocazione per me è un fatto serio, frutto di un percorso, di un merito: non di un’età».
Mancini coordinatore puntava ad avere lo stesso sistema in tutte le squadre. Anche su questo c’era divergenza?
«Per me la Nazionale non è un club e la U20 e U21 non possono essere trattate come una Primavera di A: le dinamiche sono diverse, le competizioni pesano e c’è poco tempo per lavorare. Condivido poco il fatto di giocare allo stesso modo della prima squadra: ogni annata è diversa e bisogna tirare fuori il meglio dai calciatori. Legarsi agli schemi mi pare fuori logica».
Quando Mancini si è dimesso ha pensato di aver pagato per una svolta mancata?
«Mi dispiace che il progetto sia naufragato, ma ora ce ne sarà un altro. La mia esperienza era giustamente al termine già da aprile».
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