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Ranocchia: “Inter, da capro espiatorio a campione. Lo scudetto il momento più bello”

Ranocchia
L'ex difensore nerazzurro ha annunciato pochi giorni fa il suo ritiro dal calcio giocato e la rinuncia al contratto con il Monza

Fabio Alampi

A pochi giorni dall'annuncio del suo ritiro dal calcio giocato, Andrea Ranocchia ha concesso un'intervista a La Gazzetta dello Sport: "Come sto? Benino. Diciamo "beninino"... Sono un po' frastornato. Devo rimettere insieme i pezzi".

Partiamo dalla gamba, dopo la frattura del perone di agosto.

"Va un po' meglio, ho tolto il gesso da poco, sono tornato a camminare, anche se sento ancora dolore. Sto facendo terapia, a breve riprenderò con la palestra. Ora non ho più fretta...".

Perché ha deciso di lasciare il calcio malgrado un contratto fino al 2024?

"Non c'è stato un singolo episodio scatenante. Da aprile, complici anche una serie di questioni private, ho iniziato a sentire meno entusiasmo per il calcio. Ho sperato fosse solo un momento. All'Inter stavo bene con tutti".

A proposito di Inter, come è andata la separazione?

"Il mio contratto scadeva a giugno, Piero (Ausilio) mi ha spiegato che dovevano fare tutta una serie di valutazioni. Io volevo giocare di più, ed è arrivato il Monza. Progetto serio, portato avanti da dirigenti che hanno già vinto, la possibilità di non cambiare casa anche ai figli (Lorenzo, 4 anni, e Adele Luna, 2) e di far crescere i giovani. Ho accettato. Ma durante il ritiro ho faticato molto. Scoprire che quel fuoco per il calcio che mi ha acceso per 30 anni non tornava è stato tremendo".

Quanto ha pesato l'infortunio sulla decisione finale?

"Ha accelerato un processo già in atto. Tanto che non escludo che un crack così serio fosse collegato al fatto che la testa non girava più nel modo giusto".

Cosa le ha detto Galliani?

"Gli ho spiegato come mi sentivo e che non volevo prendere in giro me stesso, ma anche chi mi aveva dato fiducia. Lui è rimasto sorpreso, però ha capito e rispettato la mia decisione. Non certo perché rinunciavo ai soldi, di cui non voglio parlare anche per rispetto verso chi fatica ad arrivare a fine mese".

Dopo l'annuncio, l'hanno chiamata in tanti?

"Ho ricevuto messaggi e telefonate da gente comune, da tutti i compagni, dagli avversari e dagli allenatori, anche quelli che non ho mai avuto. Ma in questi giorni mi sono davvero isolato. Stamattina (ieri, ndr.) mi ha chiamato Conte. Gli risponderò presto, come agli altri".

Il messaggio più bello?

"Citandone uno farei torto agli altri. Ma tra i tanti c'erano anche Zhang, Pioli, Spalletti, Cattelan, Mentana, che seguo sempre".

Spalletti ci riporta a uno snodo decisivo della sua carriera.

"Con Luciano ci sentiamo spesso, gran persona. Lei si riferisce a quando ha affrontato un tifoso che nel 2017 mi insultava durante il ritiro a Riscone. Per poco non gli dava anche due schiaffi (ride). La prima volta in cui qualcuno si è speso per difendermi. Una scossa decisiva lungo un cammino che avevo intrapreso da solo".

Per qualche anno lei infatti è stato il capro espiatorio dei problemi dell'Inter.

"Ero molto giù, un'esperienza di cui avrei fatto a meno, ma formativa. Nel calcio, quando le cose non girano ne prendono di mira due o tre... Arrivato subito dopo il Triplete, ho vissuto stagioni difficili per il club. Ma mi sono anche goduto la risalita grazie a Suning e allo stesso Spalletti, fino alle vittorie con Conte e Inzaghi".

Inzaghi ora sta faticando.

"Ci stanno momenti così, soprattutto a inizio stagione, con una rosa piena di nazionali che hanno giocato anche d'estate. Sono sicuro che l'Inter si riprenderà. Ha la rosa più forte e uno spogliatoio sano. Resta la mia favorita per lo scudetto".

Anche senza un leader silenzioso come lei?

"Nello spogliatoio ognuno porta il suo contributo. Anche scherzando sempre come Brozo".

Il calcio è stata la sua vita da quando aveva 5 anni. Con l'annuncio di lasciare si è tolto un peso o è più triste?

"Triste no, altrimenti sarei andato avanti. In questi mesi ho pensato tanto, anche troppo. E la certezza è che sono orgoglioso soddisfatto della mia carriera. Delle vittorie e di come ho superato i problemi. Ma senza entusiasmo non si va avanti. Ora stacco per un po', poi mi piacerebbe aprire una scuola calcio".

Il momento più brutto e il più bello della carriera?

"Il più brutto in estate, quando ho capito che la luce non si riaccendeva più. Il più bello, lo scudetto. L'ho inseguito a lungo, ne ho viste e vissute di tutti i colori. Trionfare così è il massimo. L'aritmetica è arrivata il giorno dopo con Sassuolo-Atalanta, ma già tornando da Crotone in aereo abbiamo fatto festa. Anche Mister Conte, che non sgarra mai finché il risultato non è certo".

Conte, con cui lei aveva iniziato tra Arezzo e Bari, dopo un mese però aveva lasciato l'Inter.

"Non mi sono stupito. Lui ha l'ossessione per la vittoria e forse pensava di avere spremuto tutto da se stesso e da quel gruppo".

Ha apprezzato quel gruppo?

"Tanto. Ma anche quello del Monza del mio ex compagno (al Genoa) Palladino è ottimo. Lo spogliatoio sarà la cosa che mi manca di più. Ma oggi no".

Ora che ha smesso può ammettere che quel rigore del marzo scorso su Belotti, non visto da arbitro e Var, c'era tutto.

"Certo che era rigore!". Risata.

Il suo ultimo gol?

"Con l'Empoli a gennaio. In acrobazia, decisivo per non uscire già agli ottavi di Coppa. Poi i compagni sono stati bravi a battere Roma, Milan e Juve. Ma un pezzo di quel trofeo è mio".

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