Le verità affiorano, ora. Mezze verità, indizi di verità, sottintesi. «Siamo un cantiere aperto. Questo è un anno di transizione», concede Walter Mazzarri dopo la caduta di Udine, seconda in due gare del 2014. Cose già dette dai suoi predecessori, e che in ogni caso somigliano a una foglia di fico, un po’ come le proteste per gli arbitraggi sulle quali Mazzarri ha ragione, ma che non rappresentano la spiegazione del momentaccio.
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Repubblica – Mazzarri e le illusioni finite. Così l’Inter è diventata un incubo…
Le verità affiorano, ora. Mezze verità, indizi di verità, sottintesi. «Siamo un cantiere aperto. Questo è un anno di transizione», concede Walter Mazzarri dopo la caduta di Udine, seconda in due gare del 2014. Cose già dette dai suoi...
La verità è che Walterone ormai ha preso piena coscienza del guaio in cui si è cacciato: spinto dall’ambizione, umanissimo sentimento in chi si è sempre seduto in seconda fila nel proprio ambiente di lavoro, è finito sulla panchina più affascinante della A ma, ora e adesso, la più impossibile. L’Inter, è ora di gridarlo, è una squadra da rifondare completamente. È una squadra che ha un’autonomia di rendimento a buon livello limitata a un paio di mesi al massimo. È atleticamente ormai non ricostruibile. È zeppa di giocatori stanchi di testa e di gambe, che hanno dato (e ricevuto) tutto eppure mantengono la leadership nel gruppo, o di elementi più giovani ma destinati a una carriera modesta, o di medio livello. Ecco perché dopo un po’ qualsiasi soluzione tattica risulta inutile e la coperta è sempre corta, ecco perché tutti gli ultimi allenatori si sono schiantati sui medesimi problemi (e sono stati cacciati, al di là dei loro demeriti, appena hanno messo in discussione certi immutabili equilibri interni: Stramaccioni l’ultima vittima).
È un’Inter che corre poco e che ha scarso talento individuale (eccetto Palacio), quindi destinata ad affondare in questo calcio. La allenasse un triumvirato formato da Guardiola, Mourinho e Ancelotti, con la supervisione di Heynckes, i risultati non sarebbero diversi. Questo e altro non aveva afferrato Mazzarri a maggio, quando firmò con l’Inter coronando il sogno di una vita: nessuno gli aveva detto che sarebbe arrivato Thohir, il tecnico l’ha scoperto solo a luglio inoltrato. Troppo tardi, ormai Walterone si era fatto sedurre dal nome della grande Inter, e in suo onore aveva mollato la Roma (da cui nel 2009 attese una chiamata nascosto in un hotel della Capitale, prima che al suo posto venisse scelto Ranieri).
Insomma, Mazzarri sentiva di meritare una grande, solo che l’ha presa nel momento peggiore: un legale che veramente gli avesse voluto bene, si raccontano in pausa pranzo certi avvocati milanesi, avrebbe inserito nel contratto un codicillo in caso di cambio di proprietà, visto che a maggio tutti sapevano di indonesiani interessati all’Inter. E chissà se a questo punto Mazzarri presiederà alla rifondazione di giugno, quando si chiuderà un’epoca aprendo il futuro ai giovani, come vuole Thohir perché tanto di denari da investire sul mercato non ce ne sono: saluteranno tra gli altri Zanetti (40 anni e mezzo), Milito (34 e mezzo), Samuel (36 a marzo), Cambiasso (33 e mezzo) e Chivu (33 e mezzo), ultime propaggini del mitico Triplete, tutti in scadenza di contratto e i cui ingaggi costano al club una trentina di milioni all’anno. Troppo, per giocatori che tranne Cambiasso non sono neppure titolari. È un’Inter tutta da rifare, ma ci vorrà del tempo. E Thohir, che oggi dovrebbe esternare, farebbe bene a dirlo chiaramente: almeno finiranno gli equivoci e le illusioni.
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