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Cordoba: “Manca tanto per tornare l’Inter del Triplete. Icardi, grande responsabilità”

Fabio Alampi

L'ex difensore colombiano ripercorre la sua vita in nerazzurro, dagli esordi ad oggi

Intervenuto nel corso dell'Overtime Festival, Ivan Ramiro Cordoba ha ripercorso la sua lunga carriera con la maglia dell'Inter, dall'arrivo a Milano nel gennaio 2000 passando per i tanti trionfi: "Il calcio è stato un modo di dimostrare tante cose, trasmettere tutti quei sentimenti che vivi da piccolo e che piano piano comincia ad aprire le porte e a cavalcare un percorso dove non ci sono limiti. Ad un certo punto quando vedevo che raggiungevo un obiettivo, ne avevo un altro e dicevo che io ci credo e posso raggiungerlo. Ma ancora più bello è che posso trasmettere questo mio sentimento, credo sia la voglia di lottare prima di tutto per obiettivi sportivi, cosa che purtroppo ora si sta dimenticando, pensando prima agli obiettivi economici. Ora i giovani non capiscono magari che si parte da questa passione da piccoli e da piccoli i soldi non esistono. Purtroppo ci sono tante persone che possono influire e far cambiare questo pensiero".

L'ARRIVO IN ITALIA - "Quando mi hanno detto che mi voleva l’Inter non ho visto più niente e ho detto "Vado lì e basta". Quindi anche se cascava il mondo continuavo a cercare l’Inter. Ero con mia moglie in Argentina, era incinta, ho detto va bene, avevo un po' paura. Abbiamo detto "Dobbiamo cambiare Paese, là fa un freddo incredibile", arriviamo e c'è un particolare che racconto nel libro. Non ci aspettava nessuno all’aeroporto (ride, ndr). Arriviamo in un albergo a caso, ci chiama l’Inter, "Ma cosa fate lì? Non ci andate. Adesso vi mando una macchina". Per me non esisteva nessuno ostacolo. Arrivare all'Inter era una cosa così bella che qualsiasi problema ci fosse stato avrei dovuto risolverlo. Non c'è cibo colombiano? Mi arrangio! Io pensavo alla squadra, devo andare ad allenarmi con Ronaldo, Vieri, Zanetti, Peruzzi. Meglio di questo non c'è. Però ovviamente c'è la difficoltà, che è normale. Mia moglie non era abituata al cibo italiano e non stava bene. Il primo giorno che dovevo andare ad allenarmi, esco il mattino ed era notte. Torno a casa alle 3-4, entro in albergo e dico a mia moglie: "Andiamo a fare passeggiata in Duomo", siamo usciti, era tutto buio e non vedevamo niente dalla nebbia e ci siamo spaventati. Così siamo tornati indietro e rimasti in albergo".

RONALDO - "Simpaticissimo, ci faceva morire dal ridere. In allenamento faceva cose che ci faceva cascare per terra, era molto simpatico. Ronaldo è un buono, purtroppo ha avuto questa difficoltà, succede nel calcio. Ronaldo era pura potenza, quando non poteva esprimere tutto quello non era Ronaldo. C’erano allenamenti che noi non vedevamo l'ora di farli per vedere cosa si inventava lui. Quando entrava in partita non faceva quelle cose che faceva in allenamento perché aveva paura che gli facessero male dopo l’infortunio. Lui in allenamento faceva sparire la palla, era incredibile. Avesse avuto qualche anno in più di carriera con le ginocchia ok sarebbe stato il migliore di tutti i tempi".

VALENCIA-INTER - "Quello è un episodio di cui non vado fiero. Ho dimostrato di essere veloce, ma di non calciare bene. Ho sempre detto di essere un calciatore fisico ma non tecnico. Facevo bene il mio lavoro, io sono credente e credo che Dio mi ha dato una mano. Se io avessi atterrato quel calciatore con quel calcio, per dieci anni non avremmo giocato la Champions magari, e quindi neanche vinto nel 2010. Quello che è scattato a me in quel momento è quello che scatta ad un bambino quando il gruppo di amici è molto affiatato e fanno qualcosa di brutto ad un amico, quindi tu vuoi difenderlo. E mi è scattato quello. Non sono fiero di quello che ho fatto, si fa da bambini, però ormai è andato. L’altro giorno mi sono trovato con Marchena, che stava litigando con Burdisso, e sai quanto abbiamo riso? Abbiamo fatto una partita per la fondazione di Figo e insieme abbiamo fatto una bella partita. Questo è il calcio".

TRIPLETE - "Dopo il pari contro la Fiorentina Mou convoca faccia a faccia la squadra. Momento difficile, era tutto in discussione. Il mister faceva queste grandi frasi, ti metteva una responsabilità pazzesca addosso. In una squadra forte, quando vuole vincere e fare la storia, succede questo: i giocatori si devono trovare tra di loro e dire, lo facciamo o non lo facciamo. Lì c’è stato un confronto così duro e bello che quando il mister lo ha saputo che ci siamo incontrati, anche se non era felice per averlo escluso, era sicuro che da quell’incontro sarbebe venuto fuori qualcosa di grande. Ci siamo detti, siamo a 15 giorni dalla storia e non possiamo buttarlo via, lasciamo stare tutto e vinciamo per noi e per la gente che ci segue. Facciamo la storia. Noi eravamo in tanti a fine carriera, poi così è stato. Noi pensavamo che la Roma non era abituata a vincere e poteva perdere punti, noi invece dovevamo fare la storia e così è stato".

L'ADDIO - "Difficile dire basta? Sì. Una cosa che mi è costata tanto digerire è stato il mio infortunio al ginocchio. Noi giocatori ci sentiamo indistruttibili per come ti fanno sentire, tutto quello che si crea, ti fanno sentire diversa. C’è chi la prende in un modo e chi in un altro. Questa cosa mi caricava, ma dopo l’infortunio ho pensato: questa cosa sarà un’esperienza nuova e mi farà capire cosa significa subire un infortunio e fare le cure mentre gli altri si allenano. Però dopo quando cominci a rientrare è dura perché non ti senti te stesso. Il mio ginocchio è stato compromesso abbastanza. Il dottore mi aveva avvisato che poi avrei avuto problemi. Dopo un altro intervento al menisco dava noia, dopo quattro anni ha cominciato a farsi sentire la cartilagine e questa cosa l’avevo sentita sempre come un problema che non avrei mai dovuto affrontare e invece eccola qui. Il presidente era pronto a farmi altri due anni di contratto, ho fatto una visita e mi dissero che con un altro intervento avrei potuto andare avanti, ma a 35 quasi 36 anni il mio ginocchio mi aveva dato tantissimo, ho detto no. A me l’Inter ha già dato tanto, non voglio mettere a rischio quello che ho fatto per l’Inter e non giocando come facevo un tempo non ero Ivan Cordoba, così ho detto stop. Ora mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta nel momento giusto".

L'INTER DI OGGI - "Cosa manca ora rispetto al Triplete? Sicuramente tante cose che non si possono cambiare da un giorno all’altro. Noi arrivavamo da un percorso lungo, poi dopo sette anni che non vincevamo avevamo una carica così forte per cercare di vincere che ci ha portato a far capire anche a ogni calciatore che arrivava cosa si aspettava la gente. Dopo Mancini la squadra per me era già pronta per vincere quello che abbiamo vinto, ma non da un giorno all’altro. Ci vuole tanta esperienza e anche una società che ti faccia capire quanto è importante lottare e vincere anche per la gente, perché sappiamo che sforzi devono fare per seguirci, per me è troppo fondamentale che un giocatore sappia dove è arrivato e secondo me su questo si sta lavorando".

BALOTELLI - "Gli abbiamo dovuto far capire come ci si comporta con le buone e con le cattive (ride). Mario è un buono. Quando lui è faccia a faccia, è un bambino, un ragazzo per bene, come un amico, ma è nell’ambiente che diventa una star. Non voglio giudicarlo, ma Mario ha avuto tantissime possibilità, magari le avessero avute altri, ma Mario è così e non sarà mai il grandissimo calciatore che si pensava. Non diventerà un grandissimo campione. Però è simpatico, faceva un sacco di scherzi e ha delle doti che se voleva poteva diventare come Ibrahimovic".

MORATTI E ZANETTI - "Moratti? Un padre per noi. Anzi, ho detto che è come una mamma perché a volte il padre non sa tutto quello che succede in casa, è la madre che informa. Il presidente era questo perché sapeva tutto, non è come tanti pensano. Lui sapeva davvero tutto, però era capace di riprenderti anche duramente, io personalmente ho avuto una tirata di orecchie bella grossa. Ogni volta ce lo ricordiamo e ridiamo perché lui si scusa, ma è normale in quel momento, dopo l’eliminazione in Champions con lo United. Questo è Moratti, così sensibile, con una passione enorme per il calcio, nessuno può capirlo senza averlo conosciuto di persona. Quando ci parli anche solo due minuti te ne rendi conto. Zanetti? Un amico, un fratello, un modello per me. L’ho sempre seguito, ho sempre voluto fare tutto quello che faceva lui e forse per questo mi sono infortunato. Lui aveva queste grandissime gambe, io piccolino. È una persona su cui si può costruire qualcosa di importante".

RIMPIANTI - "Una partita che avrei voluto giocare? La finale di Champions ovviamente. Sapevo che sarebbe stato difficile giocare perché mi ero fatto male in finale di Coppa Italia. Facevo 3 allenamenti al giorno per rientrare. Ho avuto situazioni difficili con Mou e ci siamo confrontanti da uomini faccia a faccia, il giorno dopo l’infortunio stavo pensando a come recuperare in ogni modo e mi ha detto di non preoccuparmi, per me sei tu il primo convocato. Almeno in panchina sei sicuro, poi vediamo. Tu meriti questo più di altri e per me vai tranquillo, non strafare che poi magari è peggio, allenati e sarai con me lì in panchina".

ICARDI CAPITANO - "Icardi personalità da capitano? Me lo auguro, perché lui ha una responsabilità addosso molto importante che è la fascia. È giovane, torno al discorso di prima. Penso che fare il calciatore è facile, nel senso che devi concentrarti a giocare e divertirti e fare quello che hai sempre fatto per poi essere giudicato. Ma noi dobbiamo essere giudicati per quello e quando dimentichiamo che la cosa più importante è quella che facciamo in campo, sbagliamo. Quando il calciatore è più concentrato a fare il suo mestiere, secondo me la squadra fa di più ed è più bello il messaggio che si può dare agli altri".

IL 5 MAGGIO E CALCIOPOLI - "5 maggio? Ormai l’abbiamo dimenticato (ride). Ho un problema in testa, una parte mi dice parla e una parte no. Va rinfrescata un po' la memoria. Non che noi non abbiamo vinto per questo, però sono successi degli episodi... e non sona qua a dire che la Juve questo, il Milan quello e la Roma quell'altro, ma sono dei fatti. C’era Udinese-Juve... va beh, Udinese e un’altra squadra. Quando senti un compagno che dopo quella partita viene da te, un mio compagno di nazionale, che dice che senza nessun motivo quattro titolari sono stati mandati in tribuna... Allora, noi non abbiamo vinto perché non abbiamo avuto tutta quella carica che dovevamo avere per vincere perché era nelle nostre mani. Però se non ci fossero stati tanti altri episodi, secondo me sarebbe stata un’altra storia. Non voglio dire il nome di un allenatore, ma lo capite: però quell’episodio è stato come tanti altri. Non voglio parlarne, poi va a finire che sembra sia stata l’Inter che ha scatenato una cosa così clamorosa e colpevole di una tragedia nel calcio italiano. Quello che è successo in quegli anni deve essere una vergogna del calcio italiano, punto. Fare quello che hanno fatto quelle persone che gestivano il calcio italiano. Sapere che vai a vedere una partita e altri sanno già come va a finire, non esiste. Non bisogna dimenticarlo perché altrimenti si torna a fare le stesse cose. Bisogna ricordarle e parlarne perché non esiste che poi si fa finta che non è esistito, è esistito eccome".

(calciomercato.it)