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Gianfelice Facchetti racconta il suo papà : “Quando Cuchu mi chiese la maglia n. 3”…

Non ha fatto in tempo a vedere il meglio. L’Inter s’è messa a vincere tutto quando lui se n’è andato, preso da quella brutta malattia che ha vissuto con una discrezione da eroe. Giacinto Facchetti, l’indimenticabile capitano e presidente...

Eva A. Provenzano

Non ha fatto in tempo a vedere il meglio. L’Inter s’è messa a vincere tutto quando lui se n’è andato, preso da quella brutta malattia che ha vissuto con una discrezione da eroe. Giacinto Facchetti, l’indimenticabile capitano e presidente nerazzurro, continua a vivere nelle parole di chi lo racconta, di chi lo ricorda con quell’amore immenso che solo i grandi uomini sanno farsi dare.

Gianfelice, suo figlio, in un’intervista rilasciata a Repubblica, racconta l’Olmo di Treviglio, il Giacinto Magno dell’Azzurro Tenebra di Arpino, così: “Ero piccolissimo, ricordo quelle tute nero azzurre attorno a me che correvano. Io li guardavo, mi sembravano tutti giganti. Erano gentili, si divertivano a farmi calciare un pallone. Sì, ero un bimbo tra i giganti, un bimbo in un mondo magico”.

Del padre Gianfelice ha ereditato i suoi lineamenti gentili e gli inconfondibili occhi (ner)azzurri. “Papà – dice - aveva molto pudore a parlare di sé come giocatore. Non si è mai autocelebrato. Ha vinto tutto, eppure non stava lì a ricordarlo a nessuno. Tantomeno a noi. Sembrerà strano ma solo negli ultimi tempi, grazie a Roberto Boninsegna, con cui pranzava spesso, prese a parlarne. Sembrerà paradossale, ma io, suo figlio, in qualche modo ho recuperato tutta la sua storia sportiva da quando non c'è più. Così ho scoperto quel papà per me così ‘normale’ che vinceva le Coppe Intercontinentali ed era ammirato in tutto il mondo...”.

Quella che proprio non si dimentica è la vittoria sul Liverpool per 3 a 1 della Grande Inter. “Mio padre mi raccontava che al ritorno fu tutto magico, che non aveva mai visto lo stadio milanese così carico, al punto da spingere letteralmente tutta la squadra alla clamorosa rimonta. Finì tre a zero per la Grande Inter e papà segno un grandissimo gol”, sottolinea nell'intervista rilasciata al giornalista di Repubblica Giovanni Marino.

Giacinto Facchetti è anche passato alla storia per essere stato l’uomo che ha portato l’Italia alla finale degli Europei con una monetina: “Fu il lancio della monetina a decidere una finalista. Il sorteggio favorì l’Italia che poi affrontò due volte la Jugoslavia in finale, la prima finì uno pari, la seconda vincemmo per due a zero. Questo è il ricordo più azzurro di mio padre", spiega Facchetti jr.

Il compagno preferito di Giacinto è stato Boninsegna, per gli interisti Bonimba. “Ci è stato sempre vicino soprattutto nei momenti brutti, quelli della malattia. Sì, d'accordo, magari erano molto differenti come indole e carattere, ma si trovavano nei valori importanti. Nell'amicizia. Devo dire grazie a Roberto Boninsegna per il tempo che ha passato con noi, Bobo spronava il suo vecchio compagno di squadra a uscire dal suo riserbo, a ricordare. Quando doveva esserci, Bonimba c’era”.

E con Mazzola? “C'era stato qualche screzio ed era calato un certo gelo, non ne conosco i motivi; però devo aggiungere una cosa importante - continua Gianfelice - quando qualcuno in questi tempi balordi si è permesso di diffamare mio padre, il primo a intervenire con durezza per prendere le sie parti è stato proprio lui. Un giorno, a una presentazione di un libro su mio padre, dove c'era poca gente e nessuna telecamera, intervenne Sandrino, di cui avevo sempre sentito parlare senza mai conoscerlo personalmente. Ha sempre detto cose splendide su papà. Poi gli parlai e, con grande umanità e umiltà, mi spiegò che sì, erano stati davvero molto amici ma poi qualcosa si era rotto. Aggiunse: ‘Ma forse, se questo è accaduto è perchè ho sbagliato qualcosa io, così come lui, insomma abbiamo sbagliato entrambi’. È bello sapere che, oggi, Mazzola difende sempre l’onore di papà”.

Cambiasso è uno dei giocatori che più di tutti ha imparato ad apprezzare la persona Giacinto Facchetti. “Quando l’Inter vinse il primo scudetto sul campo del Siena, Cambiasso mi telefonò: ‘Buonasera, sono Esteban, potrei avere una maglia di suo padre, vorrei indossarla e fare festa per il titolo che lui avrebbe voluto vedere e vivere, sa ho conosciuto Giaginto e mi sento molto legato a lui’. Gliela diedi, ne abbiamo pochine ormai, di maglie. Il tempo passa, no? La indossò con orgoglio. Poi me la riportò lavata e stirata. Gli dissi: "Esteban, è tua, tienila". Poi ha indossato ancora la 3 nella notte di Madrid. Bello. Dei giocatori attuali lui e Ivan Ramiro Cordoba sono i più vicini a noi, assieme a Javier Zanetti”, ricorda il figlio dell'ex giocatore nerazzurro.

Un’enciclopedia del passato nerazzurro, Giacinto Facchetti è anche questo. Lui che del mago Herrera ha conservato, come una reliquia, uno dei suoi quaderni magici. “Ogni tanto – confessa Facchetti jr - sfoglio quelle pagine e ritrovo anche mio padre. Mi piace anche trovare le sue immagini sparse per il mondo e raccogliere le sue figurine sparse in ogni nazione e anche le sue caricature. Lo rivedo, rivedo le sue espressioni, lo rivedo giovane e campione”.

Come vogliono ricordarlo sempre tutti gli interisti.