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Beccalossi: “Io fuori nell’82? Rimasi malissimo. Mio padre? Quando segnai in Inter-Juve…”

Marco Astori

Le parole dell'ex nerazzurro

Interessante intervista concessa da Evaristo Beccalossi, ex calciatore dell'Inter, ai microfoni dell'edizione milanese di Repubblica. L'ex centrocampista ha raccontato il suo rapporto con Milano, qualche aneddoto e tanto altro.

Primi anni 80, Beccalossi idolo di San Siro ma anche croce e delizia del medesimo. Com’era Milano?

«I primissimi tempi, da ragazzino venuto da fuori, mi misero ad Appiano. Dopo pochi mesi, però, casa a Milano. E vivere Milano. Che facevo? Per esempio andavo al Derby».

Due volte l’anno, l’andata e il ritorno.

«Proprio il locale, si tirava tardi, ero diventato amico di tutti i comici. Poi magari venivano giù amici da Brescia e allora via, a vedere il Duomo di notte. E poi a bere qualcosa».

E poi?

«Le osterie. Quelle vere, dove poi si cantavano canzoni in milanese. Oggi non ne trovo più una così».

Se Balotelli legge cose simili gli prende la malinconia.

«Oggi è un mondo opposto. I procuratori, gli agenti, in squadra non hai undici giocatori, hai undici aziende e devi regolarti su quello. Dopodiché non è che allora non si andasse a ballare e…».

Eccetera.

«Eccetera».

Quelli che ripetevano: Sono Evaristo, scusate se insisto.

«Merito del mio grande amico Beppe Viola, anche lui conosciuto al Derby. Misi due gol in un derby, quell’altro, Beppe uscendo dallo stadio sentì un tifoso che diceva quella frase. La ripeté in televisione e da allora…».

Oggi direbbero che lei era un’icona.

«Io ero quello che sul pullman per lo stadio, mentre tutti si concentravano, o sentivano musica coi primi walkman, guardava la gente fuori, i tifosi che aspettavano. E quando vedevo un padre con suo figlio sulle spalle pensavo: quello sono io, il figlio dico, continuando a pensare a mio padre che si scapicollava per venirmi a prendere agli allenamenti a Brescia…».

Un padre juventino, e parecchio.

«Uno dei primi Inter-Juve, segno il secondo gol a Zoff. Grandi feste in spogliatoio, alla fine esco e fuori c’è mio padre, con una faccia così e la voce in cantina che borbotta: uèi, ma proprio tu dovevi segnare?».

Chissà quanto era felice, invece.

«Sa che non l’ho mai capito davvero?».

Gli anni 80, per il calcio, hanno l’apoteosi nel Mundial: tutti vogliono lei, Bearzot non la convoca. Succede il finimondo.

«Ci rimasi malissimo, ovvio. Ci misi anni a capire Bearzot, ma poi l’ho capito eccome. Giusto così, a fare le squadre mettendoci dentro solo i più forti sono capaci tutti, mica serve un Ct».

Quella squadra trionfò, peraltro, e quindi lei rimase senza argomenti. Non è che tifava per gli altri?

«Ma non scherziamo. C’erano Spillo Altobelli, Oriali, Marini, per me erano fratelli. E comunque avevo deciso di godermela. Telemontecarlo mi fece l’offerta di commentare le partite, me ne stetti un mese nel Principato, come un papa, e mi divertivo a mille».

Con tutto quello che ha seminato negli anni 80 se l’è goduta per parecchio.

«Buoni lavori, bel clima, mai più mosso da Milano, un giro di amicizie fantastiche e adesso anche il ritorno nel giro azzurro: però, guarda caso con l’Under 19, capo-delegazione, mica sono ancora riuscito a farmi convocare in prima squadra…».