01:08 min

ultimora

Faraoni: “Inter? La verità è che non c’entravo nulla. Mi rendo conto solo ora…”

Alessandro Cosattini

L'esterno dell'Hellas Verona Davide Faraoni ha parlato a Cronache di Spogliatoio anche del suo passato all’Inter

L'esterno dell'Hellas Verona Davide Faraoni ha parlato a Cronache di Spogliatoio anche del suo passato all’Inter:

Io, in Prima Squadra all’Inter. Mi rendo conto solo adesso di quanto fossi in una dimensione non reale. In un sogno, direi. Avevo l’incoscienza di un ragazzo, e questo mi faceva giocare con tranquillità. Ora, qualche mese dopo, ho realizzato e di colpo ho capito quanto sia difficile restare in Serie A. Questa riflessione, negli ultimi tempi, mi aveva penalizzato. Non ero alla loro altezza, non potevo restare all’Inter. Sono arrivato dopo il Triplete, non c’entravo niente con loro, né tecnicamente e né fisicamente. Avevo bisogno di andare via: mi misi in gioco all’Udinese. Aver fiducia, stare in panchina e poi rientrare. Non posso andare a casa da perdente, secondo me quello che hanno gli stranieri quando vengono qui è proprio questo: non possono permettersi di tornare indietro, non hanno scelta. Sono più cattivi proprio per questo. Spesso, gli italiani sono nella comfort zone. Caratterialmente ci mangiano per questo motivo, hanno meno scelte".

GIOVANILI INTER - "La vita di lago è semplice: beachvolley, locali sulla sabbia. Camminate. E il calcetto saponato all’Aquafelix, un parco giochi vicino a Civitavecchia. Praticamente un suicidio: giochi a calcetto su un telo pieno di sapone, dove non fai altro che scivolare. Io ero incosciente, se scivoli non ti fermi, travolgi sicuramente qualcun altro e ti rompi o la caviglia, o il braccio. Da un mondo a un altro. A Milano c’era un ragazzo svedese pacato, biondo, con gli occhi azzurri. Io facevo un casino… Tutti lo chiamavano ‘Ikea’. Devo essere sincero: non sapevo cosa fosse l’Ikea. Ho dovuto chiederlo. Mi colpiva il suo modo di fare, completamente opposto al mio. Distinto, in ordine, arrivava all’allenamento con il Porsche perché il padre è un dirigente di Microsoft. Insomma, un mondo diverso dal mio. Mi sono fatto degli amici: c’erano Samuele Longo e Denis Alibec, per il mio compleanno mi hanno regalato un enorme cuore rosso con le loro firme che custodisco ancora".