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Favalli: “Io primo calciatore italiano positivo al Coronavirus. Ecco la mia esperienza”

Daniele Vitiello

La lunga intervista concessa ai microfoni del Corriere dello Sport

Alessandro Favalli è il primo calciatore italiano risultato positivo al Coronavirus. 27 anni, gioca nella Reggio Audace, in Serie C. Le sue generalità sono state rese note subito. Di seguito l'intervista concessa ai microfoni del Corriere dello Sport direttamente da casa sua.

 Ciao Alessandro, come stai? 

«Sto bene, la febbre è passata, ho solo un forte raffreddore»Quando ti è stata riscontrata la positività al Coronavirus? 

«Ho fatto il tampone venerdì scorso e ho avuto l’esito domenica mattina».

Perché hai fatto il tampone? Che sintomi avevi? 

«Ho fatto il tampone perché ho avuto contatti con alcuni parenti che poi sono risultati positivi. Ho iniziato lunedì scorso con febbre, raffreddore, bruciore agli occhi e forte mal di testa».

A che temperatura avevi la febbre? 

«Non l’ho mai avuto alta. 38 per un paio di giorni, poi stabile 37,5, adesso non ce l’ho più»

Sei guarito? 

«Sì, il decorso è stato rapido. Mi è stato detto che posso considerarmi guarito, anche se ora - quando passeranno definitivamente tutti i sintomi - dovrò fare un altro tampone per riscontrare la negatività». 

Dove sei ora? 

«A casa in provincia, a Cremona. Sono con mia moglie Miriam, non abbiamo figli. Siamo isolati, viviamo in stanze separate, io cerco di avere meno contatti possibili con lei. Ci teniamo a distanza di sicurezza. Io guardo la tv e i social, mi informo, studio: sono iscritto a Scienze Motorie, all’Università Telematica. Miriam è un’insegnante. La chiusura delle scuole le impone da tempo di stare a casa. In questo momento sta lavorando alle lezioni online con i suoi studenti».

Fino a venerdì ti sei allenato con la Reggio Audace. Come stanno i tuoi compagni di squadra? 

«Non credo siano stati sottoposti al tampone, ma allenatori, staff, giocatori, sono tutti in autoisolamento fino a venerdì».

Che misure precauzionali avevate preso all'interno della squadra prima che tu risultassi positivo? 

«Quelle prescritte dalla Federazione Medici Sportivi. Evitare contatti, mantenere le distanze nello spogliatoio, cercare di non stare troppo vicini l’uno con l’altro. Gli ambienti venivano disinfettati con molta frequenza».

Ti imputi qualcosa? Hai peccato in leggerezza?  

«Da quando è scattata l’emergenza Coronavirus sono sempre stato attento a non frequentare posti affollati. Facevo allenamento e poi andavo a casa, senza fermarmi. L’unica leggerezza è stata quella di una cena con i miei parenti, genitori e fratelli: evidentemente il contagio è cominciato là, anche loro hanno avuto i miei sintomi, anche se certezze non ce ne sono».

Come e dove hai vissuto in questi giorni? 

«Io sono sempre stato abbastanza bene. Non sono mai stato ricoverato in ospedale, sono rimasto isolato a casa. Ho avuto un po’ di paura, ma non tanto per me, perché comunque mi sentivo addosso solo un po’ di febbre ed ero un po’ debilitato, quanto per i miei familiari, che stanno peggio di me e hanno bisogno di cure».

Che effetto ti ha fatto - mentre eri in quarantena - vedere i tuoi colleghi della Serie A che si abbracciavano dopo i gol? 

«Ho avuto sentimenti contrastanti. E’ difficile da spiegare. Pensavo che era rischioso, li vedevo e mi veniva da dirgli: ragazzi, fermatevi, non abbracciatevi. Ma allo stesso momento per noi calciatori giocare è vita, quindi li capivo. Capivo la loro voglia di normalità, la verità è che abbiamo tutti bisogno di normalità. Per questo è stato giusto fermarsi».

C’è paura tra voi colleghi?  

«C’è molta ansia, da quando è scoppiata l’emergenza negli spogliatoio non si parlava d’altro. Siamo ragazzi tra i 20 e i 30-35 anni, abbiamo mogli, fidanzate, famiglie, bambini, genitori, amici. Non aveva più senso andare avanti. Ho apprezzato molto le dichiarazioni pubbliche del presidente AIC Tommasi. Personalmente mi sono sentito voler bene da un sacco di compagni, ragazzi con cui gioco qui a Reggio Emilia o con cui ho giocato in passato. Voglio che sappiano che quell’affetto mi ha fatto bene».

Lo sai che - quando sarà tutto finito - tu verrai ricordato come il primo calciatore colpito dal coronavirus? 

«Lo so, sì. E temo già di sentire certe cose. Gli ignoranti c’erano prima e ci saranno ancora. Ma ora non voglio pensarci. Qua la prima questione è la salute. Penso solo a quando passerà questa emergenza, voglio pensare che ne usciremo tutti nel migliore dei modi».

Riprenderai ad allenarti? 

«Saranno i dottori a dirmi quando potrò riprendere con l’attività fisica. Mi rimetto alle loro decisioni».

Quando ti immagini in campo a giocare una partita vera? 

«Spero di poter riprendere a fare il mio lavoro tra una settimana, dieci giorni, insomma il prima possibile. Nella mia testa c’è la data del 3 aprile, quando finirà lo stop. Non lo so, vediamo, se ognuno di noi fa responsabilmente la sua parte forse sarà possibile».