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Italia-Spagna, il gap è clamoroso. Loro hanno un grande vantaggio…

Alessandro De Felice

Come i bambini che segnano la propria altezza a matita sulla parete e misurano lo spazio che manca per accendere la luce da soli, ogni volta che l’Italia deve capire se è cresciuta lo domanda alla Spagna, il suo benchmark. Domani a Udine si...

Come i bambini che segnano la propria altezza a matita sulla parete e misurano lo spazio che manca per accendere la luce da soli, ogni volta che l’Italia deve capire se è cresciuta lo domanda alla Spagna, il suo benchmark. Domani a Udine si gioca l’ottavo confronto in otto anni, il nono è già in calendario il 6 ottobre. Quando nel 2008 Donadoni uscì ai quarti europei contro Aragonés, ai rigori, sembrò una disfatta: poi, i sentieri diversi imboccati dalle due nazionali hanno finito per rivalutare il lavoro del ct di allora, tornato di moda oggi. E pure adesso che la Spagna è stata umiliata al Mondiale e non guida più la classifica Fifa, spaventa gli azzurri in vista delle qualificazioni a Russia 2018. Per la capacità del suo calcio di rinnovarsi e rinascere. Tre anni fa il Barça fu annientato dal Bayern, in due stagioni è tornato sul tetto d’Europa. A livello di club, la distanza è siderale. La Spagna ne ha 6 ai quarti delle coppe e comanda il ranking Uefa, l’Italia è fuori da tutto. Real e Barça sono in testa alla Money League, la Juventus è l’unica italiana nella top ten.

Ma sul piano federale, il gap economico non c’è. Nel 2014, la Rfef, la federcalcio spagnola, ha avuto entrate per circa 127 milioni (43,3 da- gli sponsor: 17 l’anno da Adidas, che ha rinnovato fino al 2018). La Figc per 169; 42,2 milioni dagli sponsor, ma maggiori contributi statali prima dei tagli del Coni (68,9 milioni contro i 15,5 alla Rfef). La Spagna ha 70 centri federali territoriali, la metà di proprietà. L’Italia vuole aprirne 200 entro il 2020, ne sono attivi 5: spazi virtuali, più che fisici, ogni lunedì la Figc prende in affitto strutture esistenti per fare lavoro tecnico e fisico sui giovani locali. Il segreto della Spagna però è un altro.

Nel 2010, su 23 campioni del mondo, 20 erano passati dalle seconde squadre: le formazioni riserve dei grandi club che giocano fuori classifica dalla B in giù. Palestra buona anche per gli allenatori, se è vero che Zidane si è trovato catapultato dal Castilla al Real Madrid, e si è portato dietro il figlio. In Italia, il campionato Primavera resta poco competitivo, lo scalino che porta in A è troppo alto per tanti. Paradossalmente, è la Nazionale che fa un favore ai club svezzando in azzurro giovani che in campionato non giocano mai