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Mancini: “Nell’84 tornai alle 6 di mattina, Bearzot mi diede del somaro e mi promise che…”

L'intervista di Paolo Condò al nuovo ct della nazionale

Sabine Bertagna

Roberto Mancini, ex allenatore dell'Inter e nuovo ct della nazionale italiana, si è raccontato in una lunga intervista a Paolo Condò (pubblicata sulla rivista GQ). Con lui ha rispolverato aneddoti antichi di quando era un giocatore della nazionale. New York, 1984. Quando a 19 anni i tuoi compagni di squadra ti invitano a fare un giro a New York, una serata a Manhattan per la precisione, non puoi che accettare. Una prospettiva tra le più eccitanti. E il ct Enzo Bearzot? Non la prenderà benissimo...

New York, New York: "Esco felice senza preoccuparmi delle conseguenze. Andiamo allo Studio 54, quello con i buttafuori deputati a decidere se sei vestito in modo adeguato, e allora entri, oppure no. Non che fossimo eleganti, ma ragazzi atletici ovviamente sì: ci danno l’okay alzando il pollice, sono così emozionato che quasi li ringrazio. Una notte allo Studio 54, per capirci, è il massimo desiderio di ogni ragazzo dell’epoca". Passano le ore, Mancini balla e si diverte. Finché Marco Tardelli gli dice che si sono fatte le cinque. Arrivano in albergo che sono le sei. Tardelli se la cava, Mancini no. E viene convocato in sala colazione da Bearzot: «Subisco in silenzio il peggior cazziatone della mia vita. Me ne dice di tutti i colori, che non ha dormito per la preoccupazione, che mi sono comportato come un somaro, che non mi chiamerà mai più, nemmeno se segnerò 40 gol a campionato».

34 anni dopo il ct è Mancini. E se gli capitasse un giocatore giovane in squadra che si comporta come fece lui? "Mi comporterei 

come Bearzot, né più né meno. All’epoca ero un figlio, oggi sono un padre; e quindi capisco perfettamente il senso di responsabilità che avvertiva, e che quella volta mi risultava misterioso. In realtà i tempi sono cambiati, oggi New York è una meta classica del turismo, tutti i calciatori ci sono stati più volte in vacanza, il senso del proibito è praticamente sparito. All’interno di una tournée capita che i giocatori chiedano al tecnico una serata libera, e che la ottengano: vanno al ristorante di moda, ma a mezzanotte sono di ritorno in albergo. È un altro professionismo".

Casi eclatanti? «Nomi è inutile farne, e spesso chi si concede uno strappo alle regole non è quello conosciuto come più turbolento. Ne ho avuti di casi, altroché: sempre segnalati perché di mio non tengo i ragazzi sotto controllo. Do loro fiducia. Tanto, in allenamento si nota subito chi ha dormito bene e chi se l’è spassata. Anche fra i ventenni, che a volte si credono invulnerabili alle ore piccole. Una notte puoi anche mascherarla, due è impossibile».

Bearzot mantenne la parola e non lo richiamò mai più in nazionale: «Anni dopo l’episodio di New York, quando s’era ormai ritirato, incontrai Bearzot. Non feci in tempo a chiedergli nulla, fu lui ad assalirmi. “Perché non mi hai chiamato per scusarti?”. Rimasi di sale. Non l’avevo fatto perché mi vergognavo troppo del mio comportamento, ed ero certo che lui fosse ancora furioso con me. Bearzot si mise le mani nei pochi capelli che gli restavano. “Io aspettavo soltanto la tua telefonata per richiamarti in Nazionale. Ma senza le scuse non potevo fare niente, e così ti sei perso il  Mondiale del 1986”. Volevo morire»…

(GQ)