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Mancini: “Osservo Chiesa: è identico a suo padre. Ho bisogno di nuovi leader, Balotelli..”

Sabine Bertagna

L'intervista del ct della nazionale italiana al giornalista Paolo Condò

Roberto Mancini, nella lunga intervista rilasciata al giornalista Paolo Condò sulla rivista GQ, ha parlato del suo tormentato rapporto con la Nazionale quando era giocatore. Di come l'orgoglio vada messo da parte: "In un ambiente come quello della Nazionale occorre parlarsi molto, perché le rabbie e le amarezze latenti ci sono sempre. Io non sono riuscito a emergere in azzurro, e sì che il talento non mi mancava, perché non ho mai avuto l'opportunità di giocare le cinque partite dei fila che mi servivano per "entrare" nel motore della squadra. Una gara modesta, e Vicini la volta dopo mi lasciava in panchina. Mi arrabbiavo? E sbagliavo perché in Nazionale devi alzare il tuo livello di gioco. I compagni sono tutti forti. Non puoi pretendere strada libera per sei mesi - cinque partite implicano più o meno questo tempo - a prescindere da quanto mostri in campo. All'epoca lo sognavo, ed ero un ingenuo".

Il numero 10: "Quello del numero 10 è un ruolo in evoluzione. Un tempo eravamo in tanti, e ai massimi livelli, ad avere le caratteristiche giuste: prima Baggio, Zola e io, subito dopo Del Piero e Totti. Quello che si avvicina di più oggi è Insigne, che comunque è un giocatore diverso, tatticamente più disciplinato visto che parte sempre dalla stessa posizione esterna mentre noi eravamo liberi di sceglierla azione per azione. È una differenza insegnata dagli allenatori moderni. Pensi a Bernardeschi: un giocatore con le sue caratteristiche - e parlo innanzitutto di qualità pura - un tempo sarebbe stato impostato come numero 10 e basta. Oggi invece prima Paulo Sousa e poi Allegri l'hanno utilizzato in tutti i ruoli dell'attacco, per educarne il talento e sfruttarlo anche a seconda delle loro esigenze".

Balotelli: "Fino a quando non ci siamo ritrovati a Coverciano, a fine maggio, saranno stati almeno un paio di anni che non ci sentivamo. Voglio dire che provo affetto per lui, è ovvio, ma il suo ritorno in azzurro ha motivazioni esclusivamente calcistiche: Mario ha soltanto 28 anni, e quindi fa ancora in tempo arrendersi tutte le soddisfazioni che desidera perché al suo background fisico e tecnico ha aggiunto l'esperienza. Insomma, è cresciuto in tutti i sensi. Considerato che la Nazionale è destinata a perdere lo zoccolo duro che ci ha tenuto a galla fino al flop con la Svezia, ho bisogno di nuovi leader. Mario ha l'età e la credibilità tecnica per farlo, e per fortuna non è l'unico."

Chiesa, padre e figlio: "Ogni tanto mi fermo a osservarlo, perché con lui viaggio nel tempo. Federico è identico a Enrico, le stesse finte, la stessa accelerazione, un tiro molto simile. Quest'anno ha segnato poco in relazione alle potenzialità, ma è il classico talento che può esplodere in qualsiasi momento anche dal punto di vista realizzato. Io me lo aspetto."

Errori di gioventù in Nazionale: "Bearzot non mi chiamò nel 1986 perché non chiesi scusa. Sacchi mi lasciò fuori nel 1994 perché non tornai sulla decisione di autoescludersi, nel 1990 Vicini mai convocò senza mai schierarmi. Risultato: non ho giocato un minuto di un Mondiale, e la trovo un'assurdità anche se in buona parte la colpa è mia. Ora penso a qualificarmi per l'Europeo e poi a disputarlo alla grande, io gioco sempre per vincere. Ma confesso che l'idea del Mondiale, visti i precedenti, già mi frulla in testa."

La Nazionale non è per tutti:"La Nazionale non è roba per tutti. Ci giocano i top, se non arrivi a quel livello è giusto che tu stia a casa. Proprio per questo, venire chiamati è un tale privilegio che non ci si tira mai indietro, nemmeno se gioca un altro e tu vai in panchina. Devi essere pronto a subentrare, e se possibile a fare meglio. La Nazionale è il massimo che c'è, e la selezione è dura: se la passi, goditela."

(GQ)