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Marchegiani: “Nulla scritto, ma Milan favorita evidente. Il 5 maggio? Vidi Vieri…”

Daniele Vitiello

L'ex portiere della Lazio ha parlato di ciò che potrebbe accadere l'ultima giornata ai microfoni di Repubblica

Uno scudetto lo ha vinto all'ultima giornata, ai danni della Juventus, e di un altro, due anni dopo, è stato arbitro, sempre all'ultima curva. Luca Marchegiani, ex portiere della Lazio, in quel 5 maggio 2002 che è storico per l'Inter e i suoi tifosi, era in panchina, ma comunque a due passi dal prato in cui successe qualcosa di incredibile. Succederà lo stesso anche quest'anno? Ne ha parlato ai microfoni di Repubblica: «Non penso che il Milan si lasci sfuggire la grande occasione dopo avere faticato tanto. Questione di classifica ma anche di mentalità: nelle ultime settimane abbiamo visto una squadra che non vuol lasciare proprio niente per strada. Certo che l’imponderabile esiste, nulla nel calcio è già scritto, però qui c’è una favorita evidente ed è proprio il Milan. Un gruppo molto strutturato, anche per limitare i danni del caso o della sventura».

Sia sincero: nel 2000, alla vigilia, voi laziali ci credevate?

«Lo sono: ci credevamo poco o niente. Del resto, un anno prima, se il Milan avesse vinto a Perugia ci avrebbe preso lo scudetto sotto il naso, e difatti vinse. Non potevamo illuderci, la storia spesso si ripete».

Eppure c’era un clima strano attorno alla Juventus.

«Vero. La settimana precedente, l’arbitro De Sanctis aveva annullato quel gol regolarissimo a Cannavaro e i vertici arbitrali avevano rilasciato dichiarazioni poco consone. Il resto lo fece Gaucci, motivando il Perugia come lui sapeva».

La vostra partita (Lazio-Reggina 3-0) finì che ancora non era cominciato il secondo tempo al Curi.

«E chissà se lo avrebbero giocato, visto quel diluvio, e quando. Restammo ad aspettare negli spogliatoi, sul nostro campo era già scesa parecchia gente, tutto molto surreale. Ricordo che Simeone saltò fuori dalla doccia perché il Perugia aveva segnato: restò così, insaponato e fradicio per tutto il loro secondo tempo per non spostare la condizione astrale e non irritare la scaramanzia».

Due anni dopo, ecco che voi laziali da beneficiari della sorte diventaste carnefici.

«Una giornata particolare a dir poco. Per lo scudetto era un incrocio fra Inter, Juventus e Roma. Se avessimo battuto i nerazzurri e la Juve non avesse vinto a Udine, il tricolore sarebbe andato alla Roma: per questo i nostri sostenitori ci tifarono contro, dopo una stagione molto negativa. Un uragano di fischi ogni volta che la Lazio si azzardava a superare la metà campo, ma noi volevamo qualificarci in Coppa Uefa e non ci curammo dell’ambiente ostile. Certo, fu tutto assurdo».

Ogni interista assentirà.

«Erano sicuri di batterci e segnarono subito: tutto facile, dunque pericolosissimo. L’Inter ci sottovalutò, e dopo il pareggio di Poborski cominciò a intuire la portata del destino. Loro si paralizzarono, pagando la stranissima atmosfera che circondava noi e loro. Stavo in panchina perché quell’anno il titolare della Lazio era Peruzzi, ed ebbi tempo e modo di guardare con attenzione le facce degli interisti.

Alla fine mi facevano pena, fu uno psicodramma terribile. Alcuni dei miei avversari erano anche amici, ad esempio Bobo Vieri che fino a due anni prima aveva giocato con noi. È brutto vedere un collega che soffre tanto per causa tua. La loro incredulità diventò disperazione, fu un momento difficile anche per noi».