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Mauro: “Italia mediocre, Barella nel 2006 non sarebbe stato manco convocato”

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Intervistato da Repubblica, Massimo Mauro ha commentato l'eliminazione dell'Italia per mano della Macedonia

Matteo Pifferi

Intervistato da Repubblica, Massimo Mauro ha commentato l'eliminazione dell'Italia per mano della Macedonia:

«Senza offesa, in attacco non possiamo avere il centravanti dell’ottava di Serie A e quello del Sassuolo».

Dal 2006 è stato un precipizio azzurro con la parentesi incredibile dell’Europeo: perché?

«Nella squadra che vinse il Mondiale c’erano finalisti o vincitori di Champions. Uno come Barella, pur bravo, non sarebbe stato nemmeno tra i convocati di Lippi. Ma è un guasto del sistema, non dei calciatori che restano la parte migliore».

Cos’è mancato?

«Il coraggio delle riforme che chiediamo da vent’anni. L’obbligo di almeno cinque italiani su undici in campo, e stadi di proprietà non paralizzati dalla burocrazia. I dirigenti federali ci prendono in giro da un’eternità».

Troppi stranieri?

«Certamente. Persino la Serie C ne è stracolma. Del resto, costano meno della metà degli italiani. Oggi, nelle prime squadre del campionato non abbiamo italiani nei ruoli chiave. All’Europeo, il nostro uomo più prezioso era Spinazzola, il vero regista. Infortunato lui, il buio».

Ma Jorginho era in corsa per il Pallone d’oro.

«No, ragazzi, qui non ci siamo proprio. Quel premio l’hanno vinto Platini, Maradona e Van Basten. Solo l’ipotesi che potesse riceverlo Jorginho ci dice come siamo messi, e comunque non l’ha preso».

C’è speranza in Raspadori e Scamacca?

«Ai miei tempi uno come Pruzzo non andò al Mondiale ’82, e persino Giorano la Nazionale l’ha vista poco. Io stesso non ci ho mai messo piede. Quando Mauro era il migliore della Juve, la Juve perdeva. Il calcio lo fanno i calciatori e lo disfano quelli che comandano».

Aspettavamo Balotelli.

«Questo giocatore men che normale, forte fisicamente e basta, è stato fatto passare per un fenomeno e da anni non ci spostiamo da lì».

Che effetto le ha fatto guardare Italia-Macedonia del Nord?

«Dovevano esserci almeno quattro gol di differenza, i macedoni sono da Serie B italiana. Ma se fai 32 tiri e nessun gol, il problema è grave. E quando ho visto quel recupero con la punta del piede sul tiro di Berardi, ho capito che non avremmo segnato nemmeno giocando per una settimana intera. Forse abbiamo pagato la fortuna dell’Europeo».

Com’è stato possibile passare da Wembley a questo disastro?

«Lì la mediocrità tecnica azzurra ha saputo far gruppo, prima e dopo no».

Vede responsabilità degli allenatori, oltre Mancini?

«Quasi tutti hanno vietato il cross. Io divento matto quando vedo le ali retrocedere e tentare il tiro a giro. Platini mi diceva: “Massimo, mi raccomando, rischia il passaggio che tu lo sai fare”. Oggi, solo Mourinho usa ancora sovrapposizioni e cross. E Mancini contro i macedoni che poteva fare di più? Accende il fuoco con la legna che ha. Ai suoi tempi lui non aveva il posto garantito in azzurro, oggi sarebbe un lusso».

I nostri bambini non conoscono quasi più il pallone.

«Lo sappiamo. E le scuole calcio sono soltanto una forma di babysitteraggio, non ci si sbuccia neppure le ginocchia. I bambini non giocano più all’oratorio, per strada, nei prati e il risultato è questo: generazioni perdute e giocatori normalissimi scambiati per campioni, e alla fine sconfitti».

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