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Mazzola e il ricordo di Corso: “Ho ancora negli occhi quel regalo che gli fece Moratti”

L'ex compagno aggiunge: "Sono addolorato, gli devo tantissimi gol"

Matteo Pifferi

Nella giornata di ieri, il mondo nerazzurro e del calcio italiano ha pianto la scomparsa di Mario Corso che si è spento all'età di 78 anni. La Gazzetta dello Sport ha intervistato Sandro Mazzola, che ha dedicato queste parole al compagno di tante vittorie.

Caro Mazzola, la Grande Inter dice addio a un altro dei suoi campioni.

«E del resto gli anni Sessanta distano ormai quasi sessant’anni... Non sapevo che Mario fosse ricoverato in ospedale e quindi sono rimasto ancora più addolorato. Perché abbiamo condiviso molta strada non solo da calciatori ma anche nelle nostre vite successive. Da dirigente nerazzurro gli chiedevo di andare in giro a osservare i giovani, per i quali aveva un occhio particolare. E quando Corso veniva a dirmi “quello è da prendere”, lo prendevo senza il minimo dubbio».

In campo gli deve...

«Tantissimi gol, davvero. Lui è stato esaltato dalla critica per la capacità di calciare le punizioni, le famose foglie morte, cioè un pallonetto liftato a scavalcare la barriera che poi planava improvviso lasciando di sasso il portiere. Certo, bravissimo in quello. Ma il suo pezzo forte era il passaggio».

Gli piaceva il ruolo di assist man?

«Sì, sì, godeva da matti a mandarci a rete. Ci misi un po’ a capire le sue giocate a ridosso dell’area, poi realizzai che quando guardava a sinistra avrebbe passato a destra e viceversa... Il difensore ci cascava sempre e io, muovendomi in anticipo, arrivavo in area in vantaggio: dal suo piede felpato il pallone ti arrivava docile, con i giri contati. Metterlo dentro diventava un esercizio da scuola elementare».

Era il pupillo di Angelo Moratti: verità o leggenda?

«Assoluta verità: il nostro presidente stravedeva per lui, lo divertiva troppo. E glielo dimostrava spesso: ho ancora negli occhi il Mercedes Pagoda che gli regalò ad Appiano Gentile... Ci avevo fatto un pensiero anche io... Ma tutta la famiglia, devo dire, amava Mariolino. Lui aveva un carattere particolare, era di poche parole: bisognava capirlo».

E voi compagni riuscivate a capirlo?

«Cercammo di tirarlo dentro al gruppo organizzando dei pedinamenti. Perché Mario a un certo punto se la filava con aria furtiva e allora noi gli andavamo dietro per capire se andava a donne, a giocare ai cavalli, o chissà dove... Beh, non siamo mai riusciti a beccarlo perché lui sistematicamente ci seminava».

Come foste tanti difensori.

«Eh, li faceva ammattire. Con le finte e la facilità di calcio. Ricordo che a fine allenamento Herrera ci faceva allenare i portieri. E Mariolino ogni volta inventava un tiro diverso: noi restavamo a fissarlo come ammaliati».

Eppure il Mago Helenio Herrera ogni anno voleva venderlo...

«Lo metteva in lista di sbarco, sì, poi arriva il presidente e il d.s. Allodi si ritrovava Corso nella lista dei confermati. Un anno ero in sede a firmare il rinnovo di contratto e Mario esce dall’ufficio di Moratti che aveva appena rinnovato il suo. Il commendatore mi fa entrare e mi chiede: “allora Sandrino, anche stavolta il Mago dovrà sopportare Mariolino... Tu che ne pensi?” E io pronto: “Sono felice, con lui faccio più gol”. Mariolino, Luisito, Sandrino... Per Angelo Moratti eravamo davvero tutti da coccolare».

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