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Vecchioni: “Conte ora sembra un interista vero. Scudetto? Per onestà devo dire…”

Getty Images

Il noto cantante e grande tifoso nerazzurro ha concesso una lunga intervista ai microfoni del Corriere dello Sport

Daniele Vitiello

C'è grande euforia nel mondo nerazzurro per la vittoria del tredicesimo scudetto. Roberto Vecchioni, grandissimo esponente della musica italiana e altrettanto grande tifoso nerazzurro, ha parlato ai microfoni del Corriere dello Sport.

 Roberto Vecchioni, alla fine lo scudetto, come l’estraneo della sua canzone, è tornato a casa.

«Undici anni. Undici anni senza vincere niente, neanche il torneo dei bar».

Beh, la Coppa Italia. 

«Giusto. Allora sono dieci».

Una vita. 

«Dieci anni sono lunghi. Quindi sì, oltre a essere un trionfo è anche un evento. Per onestà devo dirlo: erano quattro o cinque giornate che mi sentivo piuttosto sereno. Ormai era chiaro che nessuno avrebbe più potuto raggiungerci. Anche perché dietro c’era il Milan, che non mi è mai sembrato affidabile».

Quando ha capito che l’Inter poteva farcela? 

«Nel momento in cui è andata in testa alla classifica. Meglio ancora: quando abbiamo vinto il derby di ritorno. Ecco qui, ho pensato, stavolta ci siamo. Adesso è arrivato il momento della felicità, dopo quello della tranquillità».

Momento da vivere a distanza, purtroppo. 

«In questo momento sono in campagna e quindi non ho la tentazione di partecipare alle feste che sto vedendo in Tv. Non sono scene che possano piacermi, in questo periodo. D’altra parte capisco l’entusiasmo. Vincere uno scudetto con gli stadi chiusi non è la cosa più divertente che riesco a immaginare. Ma nella vita ho digerito di tutto, persino Berlusconi. E poi, a proposito di porte chiuse sa che cosa penso?».

Dica . 

«Rendono quasi il campionato più giusto. Non c’è casa e non c’è trasferta, ogni confronto è alla pari. Manca il dodicesimo uomo. Questo titolo ha un sapore diverso, non per forza meno piacevole».

È un evento anche perché interrompe un decennio di dominio della Juventus. 

«Ma io preferisco godermi le vittorie della mia squadra senza compiacermi delle disgrazie altrui. Ho visto tanti campioni smettere di colpo di vincere: Becker, Surtees, molti altri. Come se subentrasse improvvisamente un’assuefazione al successo. E quindi la nausea. La sintesi dello scudetto dell’Inter invece è un urlo, un urlo di liberazione. Adesso siamo come usciti di prigione».

Ammettiamolo: qualsiasi tifoseria si augura di vincere lo scudetto con chiunque in panchina tranne che con Conte. 

«Eh, ma questo è il suo metodo. Anche all’Inter lo abbiamo accolto con la puzza sotto il naso, perché nasconderlo? E sarebbe accaduto lo stesso in qualsiasi altra squadra. Eppure evidentemente la sua formula funziona. Non ho sempre visto un’Inter brillante, anzi. Conte però è riuscito a rimettere in carreggiata la squadra, a tenere altissima l’attenzione nello spogliatoio e nel club e alla fine ha portato a casa lo scudetto. Che cosa ha sbagliato, in fondo? La scelta di Vidal. Tutti gli altri li ha fatti correre e qualcuno rinascere. Il ragazzino, Bastoni, non perde un pallone. La difesa è la più forte d’Italia. Nelle ultime partite nessuno riusciva a tirare contro la nostra porta».

Conte è il vecchio che sa tutta la verità. 

«È diverso dagli allenatori alla moda, quelli che massificano, quaranta giocatori avanti tutti insieme, quaranta tutti insieme all’indietro. Lui sa aspettare e colpire. Adesso sembra addirittura un interista vero, lui che tifa solo per Conte».

Può aprire un ciclo? 

«Devo riconoscere che non lo so. Mi sembra un allenatore da campionato, uno che capisce quello che non va e partita dopo partita interviene e corregge. nelle coppe europee questo margine di manovra non c’è».

La pazza Inter stava per riuscire a guastare anche questi momenti, con l’invenzione della Superlega. 

«Non vorrei ricordarmene. Ho detestato quell’idea dal primo istante. Intanto perché è arrivata da un personaggio che non nomino e che non amo. Poi perché mi è sembrata subito una trovata squallida, quasi fascista. Nel senso di prepotente, uno schiaffo alla bellezza del calcio che appartiene a tutti, non a quattro o cinque».

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