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Lautaro: “Estate dura, ma sono felice all’Inter: Conte fondamentale. Rinnovo? L’accordo si trova”

Andrea Della Sala

Lauti, la famiglia è sempre stata il centro per te.

«Quando sono andato via da casa avevo 16 anni, è stato molto difficile. Adesso sono ancora più lontano dai miei genitori e dai miei fratelli e avere una persona accanto che pensa solo a farmi stare bene è importante. Lei mi dà serenità. I miei li sento tutti i giorni, ogni mattina trovo il buongiorno di mamma sul cellulare».

All'inizio, al Racing, ti mancavano cosi tanto che stavi mollando tutto

«Era il 2014, stavo tanto male, piangevo, volevo tornare dai miei fratelli, siamo cresciuti insieme. E poi io già non ci volevo andare...».

Per colpa del Boca Juniors? Dicono che le porte in faccia servano nella vita.

«Servono, ma quando sei così giovane fanno male. Me lo ricordo ancora quel provino: dopo 15 minuti mi dicono che non ho potenza, non ho velocità. Avevo 15 anni, è stato un colpo durissimo. E quando poco dopo si è presentato a casa il Racing, non ne volevo sapere. Volevo divertirmi e basta. Ma per fortuna ho ascoltato mio padre. Lui ha giocato a pallone e tante cose le ha provate prima di me. È la prima persona che sento alla fine di ogni partita».

È a lui che devi dire grazie se sei arrivato qui?

«A lui e a mamma: perché quando non avevamo da mangiare, un piatto non me lo hanno fatto mancare mai. Né quello né la palla. Tutto è grazie a loro e per loro».

Hai più pianto?

«Io non piango tanto, tengo tutto dentro. Agustina mi dice che devo imparare a tirar fuori le emozioni. Ma io tendo a chiudermi, a voler risolvere tutto da solo. Per fortuna lei capisce al volo quando sto male».

Ti guardi mai indietro?

«Sempre. Quello che ho fatto, mi ha portato dove sono. Non lo dimentico».

Eri un bambino come tanti, sei diventato un campione da 100 milioni. Te lo immaginavi?

«Forse non me lo immagino ancora. Nel calcio devi lavorare ogni giorno per migliorarti ed essere decisivo. Io lo faccio da quando ero piccolo. Ero così già da bambino: quando andavo a palleggiare in strada e imitavo Falcao, il mio idolo del River Plate, non tornavo a casa sino a quando non mi riusciva di fare quello che mi ero messo in testa. Anche a scuola ero così».

Eri bravo anche a scuola?

«Sì, ero... intelligente: ascoltavo quello che diceva il prof e mi rimaneva in testa. Così studiavo meno. Avrei voluto fare l'Università, Nutrizione, ma non ho avuto tempo. Ho scelto il calcio».

Per il calcio avevi già scelto di mollare il basket.

«Se non avessi fatto il calciatore, avrei giocato a basket. Come mio fratello Jano. Mi piaceva. ero un play... e forse certi movi-menti, le virate, le ho imparate sul quel campo che c'era vicino casa mia. A Bahia Bianca si gioca tanto a basket, grazie anche a Manu Ginobili. Ho messo pie-de in quel campo per caso, ma mi è piaciuto subito: la mattina andavo a scuola, poi calcio e basket. O viceversa. La sera ero distrutto. Dormivo poco, mangiavo male. Non ero mai a casa. Così mio padre mi ha messo spalle al muro ed io ho scelto il calcio. Sono nato in uno spogliatoio di calcio, seguivo papà anche in trasferta, sempre.

Dove giocava il tuo papà?

«Era un'ala. Ha giocato nel Rosario, nel Racing de Olavarria e nei Liniers, piccolo club di Federal B dove ho iniziato io. Quando ha smesso lui, l'anno dopo ho esordito io. Mi portava al campo e si metteva in porta per farmi tirare. Tutti i giorni. E quando non c'era, giocavo con Alan, mio fratello più grande. Mettevo in porta lui... Io ho fatto l'ala, il difensore ma il portiere mai... Giocavamo sempre insieme».

Dormivate insieme, tutti in una stanza.

«Sì, io con Alan. Jano, il più piccolo, nel letto con mamma e papà».

Quando papà non c'era, era nella casa di riposo a fare l'infermiere?

«Certo, doveva fare due lavori, il calcio non bastava a mettere a tavola cinque piatti ogni giorno. Oggi continua a farlo: è felice quando aiuta i nonni della casa di riposo».

Aiutare gli altri fa lo stesso effetto anche a te? Hai comprato ai tuoi una casa più grande. E durante il primo lockdown hai mandato disinfettante e mascherine agli ospedali di tutta Bahia Bianca per vincere il Covid-19.

«Aiutare chi ha bisogno, i bambini, la mia città è una cosa normale. Quella è casa mia, ci torno appena posso. C'è la mia fami-glia, la mia gente, mia nonna, i miei amici. Pace, amore...

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