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Maldini: “Licenziamento? Battuta su semifinale con l’Inter, motivazioni deboli. Scontro stadio”

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Intervistato da Repubblica, l'ex bandiera e dirigente del Milan Paolo Maldini torna a parlare della separazione col club rossonero

Intervistato da Repubblica, l'ex bandiera e dirigente del Milan Paolo Maldini torna a parlare della separazione col club rossonero e di come sono andate le cose con la dirigenza:

Paolo Maldini, perché sei mesi di silenzio dopo il licenziamento dal Milan il 5 giugno scorso?

«Avrei parlato di pancia, il tempo permette serenità. Ci sono persone di passaggio, senza un reale rispetto di identità e storia del Milan. E ce ne sono altre legate ai suoi ideali. Converrebbe tenersele strette».


Si aspettava il divorzio?

«Se il club è stato venduto a 1.2 miliardi e la nuova proprietà vuole cambiare, ne ha il diritto. Ma vanno rispettati persone e ruoli. Ho dovuto trovare un accordo per i miei diritti. L’amore per il Milan rimane incondizionato. Da figlio di Cesare. Da ex capitano. Da papà di Christian e Daniel. E da dirigente in 5 anni fantastici. L’informazione non viene indirizzata verso la verità: chi dice il contrario sa di mentire a se stesso. Per fortuna mi pare che il pubblico non si faccia condizionare».

Per Gerry Cardinale lei è un individualista.

«Si confonde con la volontà di essere responsabile delle decisioni previste dal ruolo. Il confronto quotidiano è una benedizione. Un ex calciatore di alto livello è abituato al giudizio ogni 3 giorni. Come dirigente sono cresciuto, nei primi 6 mesi mi sentivo inutile. Leonardo mi diceva: stai solo imparando. Non è facile interloquire con un fondo americano o un Ceo sudafricano».

Si riferisce al mercato?

«Niente di più lontano dal vero che io e il ds Massara non condividessimo obiettivi e strategie. Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da Ceo e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget. È normale a volte l’interferenza nelle scelte sportive, che spostano equilibri finanziari. È ingiusta l’accusa di non averle condivise. Per Ibrahimovic servirono tante riunioni».

Ibra potrebbe tornare ora.

«Gli posso suggerire che all’inizio sarebbe logico osservare e imparare».

Può raccontare quel fatidico 5 giugno 2023?

«Cardinale mi disse che io e Massaraeravamo licenziati. Gli chiesi perché e lui mi parlò di cattivi rapporti con l’ad Furlani. Allora io gli dissi: ti ho mai chiamato per lamentarmi di lui? Mai. Ci fu anche una sua battuta sulla semifinale persa con l’Inter, ma le motivazioni mi sembrarono un tantino deboli. Le cosiddette assumptions , gli obiettivi stagionali, erano: ipotizzando l’eliminazione dalla Champions, un turno passato in Europa League e la qualificazione alla Champions successiva. Quella semifinale ha portato almeno 70 milioni di introiti in più e l’indotto record di sponsor e ticketing. L’attivo di bilancio appena approvato è relativo all’esercizio 2022-23, con le assumptions abbondantemente centrate».

L’azionista di controllo eccepiva?

«Con lui, in un anno, solo una chiacchierata, più 4 suoi messaggi. Diceva che dovevamo fidarci l’uno dell’altro. Io l’ho fatto: come sia andata, è noto. Credo che la decisione di licenziarci fosse statapresa mesi prima e c’era chi lo sapeva. Il contratto, 2 anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo scudetto».

Che cosa chiedeva Cardinale?

«Di vincere la Champions. Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’ad Furlani».

Risposte?

«Nessuna. Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati, coccolati, ripresi. D’altronde, dopo tre mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e Ceo e praticamente delegittimati: i variLeao, Bennacer e Theo non piacevano. Ma serviva un percorso. Ricordo sempre da dove siamo partiti».

Avreste ceduto Tonali?

«Avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità. Per Sandro spendemmo un quinto del valore di dominio pubblico e dovemmo discutere animatamente con Ceo e proprietà: non lo voleva neppure l’area scouting».

Milan Maldini rinnovi

Poi è inciampato nelle scommesse.

«Una sconfitta: non mi sono accorto del suo disagio. Non si fa mai abbastanza per i ragazzi. Acquisti e cessioni sono solo una piccola parte del lavoro. Quello vero, con Leao,Hernandez, Bennacer, Maignan, Kalulu, Thiaw, Tomori e molti altri, è stato supportare il loro sviluppo».

Ora tutto è sulle spalle di Pioli.

«Va ringraziato, è stato fondamentale per i giovani. Però l’allenatore è tra le persone più sole del calcio. Dargli compiti che esulano dai suoi, senza sostegno, lo renderà sempre più solo».

Lo voleva sostituire con Pirlo?

«Il mio ruolo prevede confronti frequenti. Con Pioli lo stavamo già facendo per la stagione successiva. Aveva meritato il rinnovo al 2025. E se ci fosse stata, come in passato, unità di intenti e visioni con gli obiettivi societari, non vedo perché l’avremmo dovuto cambiare».

Per Scaroni, senza di lei, il gruppo di lavoro è unito.

«Mi dà fastidio come si raccontano le cose. Il Milan merita un presidente che ne faccia solo gli interessi e dirigenti che non lascino la squadra sola. Lui non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due Ceo, Gazidis e Furlani».

Maldini Muschio Selvaggio

Il nuovo stadio?

«Motivo di scontro. Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70 mila a San Siro, avevo ragione».

La sua idea?

«Con un nuovo San Siro, e con più verde, si rivaluterebbe una zona a rischio abbandono. Milano è trainante in Europa. Dobbiamo temere il degrado, non il futuro. I grandi campioni hanno reso lo stadio iconico. Ma è passato, Milano ha sempre guardato al futuro».

Conferma la trattativa per Messi?

«Dopo il Barça era libero e secondo proiezione sull’indotto ne valeva la pena, col decreto crescita. Leonardo ci spiegò che il Psg era già avanti, così è rimasta un’idea».

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