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Montali: “Occasione per cambiare il calcio italiano. In Serie A tre giocatori da playoff”

Daniele Vitiello

Le parole del noto personaggio di sport ai microfoni del Corriere dello Sport

Parola all'esperto. Gian Paolo Montali è uno che di sport se ne intende. Allenatore di successo nella pallavolo, dirigente di Juventus e Roma nel calcio, ora direttore generale del progetto Ryder Cup di golf. A lui il Corriere dello Sport di oggi ha chiesto un parere su quanto sta accadendo attorno al mondo del pallone in Italia.

Quale delle ipotesi avanzate dalla Federcalcio per concludere la stagione la convince di più? 

«Servono un piano A, un B e un C. L’ultima cosa da tentare in questa situazione è fare scelte di parte, calcoli per favorire questo o quest’altro. Bisogna aspettare che le persone colpite dal Coronavirus diminuiscano in misura significativa. Non sappiamo quando avverrà. Quindi la scelta migliore sarà quella coerente con i tempi a disposizione».

Supponiamo che non ci sia la possibilità di recuperare tutte le giornate perse e si opti per i playoff. 

«Sì, ma playoff con chi? Dipende da quanto vuoi farli durare. Io direi formula classica a otto, la prima contro l’ottava, la seconda contro la settima e via a scalare. Se stai più stretto, diciamo che se li giocano le prime quattro».

Se stai ancora più stretto, gara unica. 

«No, troppo penalizzante per le squadre più forti. Mi è capitato di vedere tornei organizzati in quel modo e non mi sono piaciuti. Al meglio delle tre partite è la formula ideale. Oppure si può replicare la struttura dei turni di coppa europea, con supplementari e rigori. Se avessi un paio d’ore riuscirei a calcolare quale sia l’idea migliore».

Peccato, non ce l’ha. Diciamo che il calcio tradizionalmente sceglie la seconda. 

«Anche perché a quel punto sai per certo che in due partite hai risolto il turno. Purché si mantenga la stessa formula anche per la finale, andata e ritorno. Senza inventarsi alchimie».

Di solito la finale è singola. 

«Ma con la finale su due partite si salvaguarda il merito».

Il calcio è pronto per tutta quest’abbondanza di novità? 

«Certo, dovrebbe cambiare molto nel lavoro degli allenatori e nella testa dei giocatori. La regular season premia il lavoro a medio e lungo termine, per i playoff occorre un approccio completamente diverso. E poi l’aspetto psicologico diventa fondamentale: l’atteggiamento e i comportamenti sono determinanti in un confronto così breve».

Quindi a chi potrebbe piacere questa soluzione? 

«Alle squadre che giocano le coppe europee, già abituate a competizioni del genere. Sarebbe un punto a favore della formula al meglio delle tre partite, che introdurrebbe un elemento di diversità in più. Ma tutto dipende dal tempo che avrai a disposizione per i playoff. Di solito l’incontro più imprevedibile in una formula di campionato così è quello tra la quarta e la quinta».

Chi sono gli uomini da playoff della Serie A? 

«Dybala perché è bene disputare quelle partite con un po’ di spensieratezza e perché il ragazzo mi ricorda Vladimir Grbic, il serbo che mi ha fatto vincere lo scudetto a Roma: genio puro. Eriksen che accosto a Lollo Bernardi, peraltro tifoso dell’Inter. E anche Dzeko, vicino ad Andrea Gardini per leadership e determinazione».

I playoff per assegnare lo scudetto segnerebbero una svolta culturale. 

«Un’opportunità nata da un’emergenza. Ciò di cui bisogna aver paura non è la novità bensì l’impossibilità di rinnovarsi. Cambiare completamente il modello è qualcosa che bisogna avere la forza e il coraggio di fare. Negli Stati Uniti i playoff rappresentano il momento più alto di qualsiasi campionato, dal punto di vista tecnico e da quello emotivo. Dobbiamo stravolgere le regole del gioco. Non ci serve neppure andare troppo lontano: in fin dei conti la Coppa Italia è un lungo playoff. Credo che in momenti come questi invece di piangersi addosso sia necessario cogliere le occasioni. In primo luogo, garantire la salute a tutti. In secondo luogo, guardare al futuro. Io vinsi il primo scudetto quando era appena entrato in vigore il rally point system. Sembrava fosse diventato impossibile giocare. Adesso non se ne può fare a meno».