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Pellegrini: “Inter da finale di Champions. Parlai con Moratti per ricomprarla: ecco quando”

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Le parole dell'ex presidente: "È meraviglioso vedere e sentire un'intera città che vibra all'unisono, unita dai nostri bellissimi colori"
Marco Astori Redattore 

Ernesto Pellegrini, ex presidente nerazzurro, intervistato da Repubblica per il libro "Inter, la stella più bella", ha parlato così della conquista del ventesimo scudetto: «È meraviglioso vedere e sentire un'intera città che vibra all'unisono, unita dai nostri bellissimi colori. Oggi come allora, le sensazioni sono le stesse».

Dove ha guardato il derby decisivo?

«A casa con mia moglie. Sarei voluto andare allo stadio, ma il mio medico mi sgrida, mi dice di riguardarmi. E stato un sogno per cui squadra e allenatore hanno lottato. Non esistono sogni facili da realizzare».


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Quando ha capito che l'Inter davvero avrebbe vinto il tricolore?

«Mi sono goduto il momento solo a cose fatte. È sempre meglio stare abbottonati. Ha ragione Trapattoni: non dire gatto se non ce l'hai nel sacco».

L'Inter di Inzaghi le ricorda quella del Trap?

«Si somigliano molto, al punto che fatico a trovare differenze. Sono forti, compatte, verticali. Solide ma votate all'attacco. E i giocatori sono amici fra loro».

I due allenatori hanno qualcosa in comune?

«Il Trap è unico, ma Inzaghi sta dimostrando di non essere da meno, in quanto a carattere. È un combattente, pur educato e gentile. Ho sempre creduto in lui, anche nei momenti difficili. Gliel'ho detto quando sono andato in visita ad Appiano Gentile, qualche mese fa. Una bella emozione».

Al ristorante della Pinetina servono ancora i vostri piatti?

«Certo, da 46 anni. La mia azienda fattura un miliardo, ha 11 mila dipendenti. Ho tanti pensieri, ma il ristorante della Pinetina non me lo dimentico. Mi raccomando sempre che chi lavora all'Inter mangi bene. Per gli sportivi è importante. Me lo dissero i giocatori, quando vincemmo il tricolore».

Che ricordi ha di allora?

«Tanti e bellissimi. La notte sogno ancora i giorni dello scudetto. Al risveglio, impiego qualche istante a realizzare che è successo davvero. Lo stesso succede con la Coppa Uefa di trent'anni fa. È incredibile come certe imprese uniscano gli uomini che le hanno compiute».

Quest'anno se n'è andato Andy Brehme.

«Ho organizzato un volo privato, di modo che i miei giocatori andassero a Monaco insieme per ricordarlo. Io stavo poco bene, ma sono andato a Linate a salutarli».

Li sente ancora?

«Li vedo! All'ultimo piano di casa ho un ristorante dove ricevo gli amici. Klinsmann, Berti, Bergomi, Ferri, Serena. Un grande calciatore e una persona speciale».

Ha mai pensato di ricomprare il club?

«C'è stato un momento in cui sembrava potesse succedere, dopo il Triplete. Ne parlai con Moratti e Tronchetti, ma alla fine non se ne fece nulla».

Quale giocatore di questa Inter avrebbe voluto nella sua?

«Lautaro, da alternare con Serena e Diaz. Sarebbe stato un bel lusso».

E della stagione 1988-89 chi farebbe comodo a Inzaghi?

«Bianchi in fascia destra. Copriva e saltava l'uomo. Ma mi piacciono sia Darmian che Dumfries».

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Come può rafforzarsi la squadra?

«Lo sa solo Marotta, di cui ho stima enorme. È il più bravo di tutti. Ha migliorato la squadra risparmiando, il sogno di ogni presidente. Fin quando sarà al comando, staremo tranquilli».

Dove può arrivare questa Inter?

«È da finale di Champions. Ci è già stata, proverà a tornarci».

E la sua?

«Non è stata fortunata. Avrebbe potuto vincere di più. Ci fu negato uno scudetto. L'anno in cui lo vinse la Sampdoria subimmo arbitraggi da incubo».

La più grande gioia?

«La punizione di Matthäus al Napoli che ci regalò il tricolore».

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