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Club Serie A uniti, appello al Governo: “Decreto Crescita da non abolire per questi motivi”

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Il calcio tenta l’ultimo affondo per evitare che il primo gennaio venga abolito il Decreto Crescita: ne parla così Gazzetta

Il calcio tenta l’ultimo affondo per evitare che il primo gennaio venga abolito il Decreto Crescita, che tanti vantaggi (fiscali) ha portato ai campioni arrivati nel nostro Paese, permettendo ai club di offrire stipendi più competitivi e rendendo il campionato più appetibile anche all’estero.

Come sottolinea La Gazzetta dello Sport, "lunedì la Lega Serie A ha espresso all’unanimità la propria contrarietà alla cancellazione della norma, decidendo anche di inviare un documento al premier Giorgia Meloni e al Governo per sottolineare i vantaggi che il Decreto ha portato non soltanto al calcio (vivai compresi), ma pure al sistema economico italiano, anche in termini di gettito fiscale.


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Documento al Governo

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Un documento ricco di dettagli e di dati, per dimostrare che «l’abolizione del beneficio fiscale per gli impatriati (ovvero il Decreto Crescita, ndr) avrebbe conseguenze nefaste su tutto il calcio italiano», nella speranza che l’Esecutivo possa fare un passo indietro, visto pure che - come si legge nelle conclusioni - «il carico fiscale della Serie A è pari al 60% circa dei tributi pagati all’erario dall’intero mondo dello sport. Una Serie A competitiva e vincente in Europa porta maggiori risorse allo Stato e a tutto lo sport nazionale. L’abolizione del Decreto Crescita va quindi, purtroppo, esattamente nella direzione opposta».

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Dati Decreto Crescita

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[…] Ecco i dati: per la stagione 2023/2024 solo 50 tesserati hanno sfruttato il Decreto Crescita su un totale di 653 calciatori e 1.083 contratti professionistici in Serie A. Infine si elencano le quattro principali ragioni per cui l’abolizione sarebbe un «danno ingente per la Serie A». La prima sottolinea come «non consentendo più di offrire salari appetibili per i fuoriclasse, si renderebbero le squadre meno competitive sul mercato internazionale». La seconda spiega come senza il beneficio fiscale «si otterrebbe l’effetto inverso a quello ipotizzato – ossia favorire i vivai – perché verrebbe imposto alle squadre un maggior costo complessivo per assicurare continuità salariale ai giocatori, ma con diversa aliquota fiscale – pari ad oltre 150 milioni di euro annui».

Ultimo tentativo

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Un incremento che andrebbe poi a pesare su «altre voci di spesa, tra cui proprio quelle dedicate al settore giovanile e ai vivai», visto che nei club la spesa principale (pari al 70-80% del budget) riguarda proprio gli stipendi. La terza ragione verte sulla minor competitività delle italiane in Europa, «con conseguente riduzione dei ricavi, minor indotto e dunque minor gettito». Infine l’aspetto social: «Si ridurrebbe considerevolmente la visibilità globale della Serie A», dato che da soli «i primi 40 calciatori beneficiari (6% dei 653 tesserati totali) valgono oltre il 50% del seguito sui social media di tutti i tesserati in Serie A». Insomma, gli argomenti sono tanti e ben strutturati. La Lega ha fatto il suo, ma il lavoro del calcio è continuo e sta coinvolgendo tutti, chi più chi meno alla luce del sole. Sperando che il tempo non passi troppo in fretta", si legge.

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