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Lippi: “Nel 2006 noi più forti dopo quel casino di Calciopoli. Serie A? Si faccia così”

Marco Astori

Le parole dell'ex ct della Nazionale

Lunga intervista concessa da Marcello Lippi, ex ct della Nazionale, ai microfoni di Repubblica. Il tecnico ha affrontato il tema Coronavirus, avendo lui vissuto per molto tempo in Cina, ma non solo.

Là è cominciato tutto, là forse tutto sta finendo: cosa ne pensa?

«Che è stato giustissimo, sacrosanto chiudere qui da noi come in Cina. Loro ce l' hanno fatta e ce la faremo anche noi».

Ha paura?

«No, e non chiedetemi perché. Certo non sono un incosciente. Ma adesso quello che conta è essere prudenti e responsabili. Domenica, qui a Viareggio c'era un sole splendido, pareva già estate e la gente si affollava nei ristoranti, nei bar, nelle gelaterie. "Ma siete matti?" pensavo io. Non state sentendo cosa succede? Una prova di irresponsabilità scoraggiante anche da parte di chi, dal nord, è sceso nelle seconde case in Versilia e all' Elba. Ma non più tardi di due giorni dopo sembrava di stare in guerra».

Non crede che lo sport si sia mosso con un po' di ritardo? Il calcio, specialmente.

«Nei primi momenti il quadro cambiava ogni dieci minuti, siamo stati presi un po' alla sprovvista. Ma poi c'è stato tutto il tempo per capire e agire: abbiamo compreso che, semplicemente, dovevamo cambiare la nostra vita, che ci piacesse oppure no».

Eppure siamo stati capaci di litigare per interessi di bottega mentre attorno si moriva, si muore.

«Non è stato uno spettacolo edificante. E non capisco come si possa pensare di disputare gli Europei a giugno o le Olimpiadi in Asia, in Giappone, tra luglio e agosto: come dire dopodomani.

Per fortuna l'Uefa ha finalmente deciso di sospendere le Coppe, e credo sarà così anche per gli Europei: al limite, disputiamoli l'anno prossimo ma non adesso, non a tutti i costi e chissà come, chissà dove. Questo permetterà di tentare di salvare almeno i tornei nazionali, che secondo me vanno sempre privilegiati».

«Ho letto dei play-off ma non mi convincono, e neppure l'idea di assegnare lo scudetto adesso, così, in base alla classifica. Se tra un mese, un mese e mezzo la situazione renderà possibile il ritorno in campo, credo che il campionato debba essere ripreso e concluso nel modo tradizionale, altrimenti pazienza. Altre soluzioni mi sembrano mortificanti».

Le istituzioni europee non si sono rivelate in linea con l'Italia, e non solo quelle sportive.

«Dopo l'appello del nostro paese, la signora Lagarde ci ha dato un bello schiaffo in faccia. Il problema del virus è continentale, anzi planetario: se ne può uscire solo insieme, senza egoismi e chiusure».

Come una partita all'ultimo rigore?

«Più o meno, sì. Ai Mondiali del 2006 prendemmo coraggio dopo le prime vittorie, quelle che io definisco dell'autostima. Battemmo in amichevole Olanda e Germania, sapevamo di essere in forma. Ricordo che i miei giocatori dicevano "siamo forti, cavolooo!" e lo diventammo ancora di più dopo quel casino di Calciopoli. Lo sport è un esempio da seguire. In questo momento, come in Germania tanti anni fa, avremmo bisogno dei primi risultati, di qualche numero finalmente incoraggiante, qualche statistica positiva: e allora riprenderemmo coraggio come l'Italia prima della finale contro la Francia. Sentivamo che ce l' avremmo fatta e anche adesso ce la faremo».

Ci attendono mesi senza sport. Come viverli?

«Lo chiedete a una persona che tutte le sere guarda almeno una partita di pallone in tivù. Lo sport ci aiuta a vivere, io non penso proprio che sia un aspetto inessenziale della vita, anzi ci permette di pensare ad altro, rende meno amari i giorni di tanti. Ed è bellezza, emozione, partecipazione. Ora, però, la salute ha la precedenza. Dobbiamo pazientare, restare lucidi e positivi e sapere che poi sarà tutto più bello, più intenso, come nuovo. Tornerà il caldo e potremo passeggiare di nuovo insieme, andare in bicicletta, in spiaggia, abbracciarci».