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Moratti: “KO in finale? Peccato ma zero drammi. Ricreduto su Inzaghi. E Barella…”

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"Il City non è stato quel che ci aspettavamo e ha giocato in maniera mediocre: questo ti fa pensare che potevi vincere"
Matteo Pifferi Redattore 

L'ex presidente dell'Inter, Massimo Moratti, ha rilasciato un'intervista a il Giornale nel corso della quale ha parlato della finale di Champions League persa contro il Manchester City:

«L’occasione persa è quel che resta in mente, ma il calcio è così: non facciamone un dramma».

Che partita è stata?

—  

«Il City non è stato quel che ci aspettavamo e ha giocato in maniera mediocre: questo ti fa pensare che potevi portare a casa la partita. Ma, in assoluto, non è stata una bella sfida».


Ha sentito qualcuno in società?

—  

«La cosa peggiore, in questi casi, è ricevere le telefonate di consolazione. Io ho sentito solo i miei figli».

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Cosa non ha funzionato?

—  

«Mi ripeto: se uno vuole prendere ad esempio una bella partita, di certo non sceglie quella. È stata una gara che poteva essere decisa solo dagli episodi. Tutte due le squadre erano molto trattenute.

Anche il City ha dimostrato di patire l'appuntamento».

Se il gap sul campo è stato relativo, quello finanziario resta. Al calcio vinci se hai più soldi?

—  

«Non ho visto tante differenze sul campo, soprattutto se si pensa alle centinaia di milioni spesi dal Manchester. Da un punto di vista tattico, l’Inter si è espressa in modo da far giocare male il

City. Che poi ci ha messo del suo».

Pioli, al Milan, disse che oggi è difficile essere competitivi su due fronti. Per le italiane lo è di più?

—  

«Credo che l’Inter abbia invece dimostrato che ci si potesse riuscire. Il periodo brutto è stato vissuto a metà dell’anno, ma non era dovuto al doppio impegno. Semmai a un momento di scarsa

condizione e poca fiducia».

Uscire da quel momento è stato merito di Inzaghi?

—  

«Guardiola ha cercato di dirlo in modo elegante: l’Inter è la seconda squadra più forte d’Europa e il merito grandissimo va alla società, ai giocatori e all’allenatore. Che ha saputo tenere duro nel

periodo in cui veniva criticato duramente. Anche da me».

Quindi si è ricreduto su Inzaghi?

—  

«Certamente».

Lei è innamorato di Inter, ma non le darà di certo fastidio continuare a essere l’ultimo presidente che ha vinto la Champions...

—  

«L’orgoglio di pensare che la mia famiglia sia stata l’ultima a centrare il successo c’è. Ma è una sensazione che può essere esaltata se si continua a vincere, altrimenti tutto si dimentica».

Avesse vinto l’Inter, Lautaro sarebbe stato da Pallone d’oro, lui che ha vinto anche il Mondiale?

—  

«Non lo so, non l’hanno dato a Milito... Lautaro è fortissimo, ma può esprimersi a livelli ancora superiori».

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Al di là degli episodi sfortunati di Istanbul, Lukaku lo terrebbe?

—  

«Tutta questa critica non gliela farei: certo, gli è andato male il colpo di testa e questo può essere stato il suo peccato mortale. Ma quando sono entrati lui e Mkhitaryan - che per me è fortissimo - la squadra ha cambiato ritmo ed è stata più pericolosa. Per il futuro, Lukaku è sempre utile averlo. Ma non conosco i conti a livello economico».

A proposito di attaccanti, colpito dall’addio al calcio di Ibra?

—  

«Mi ha fatto un forte effetto: è un ragazzo con una grande personalità, un ragazzo simpatico».

Che idea si è fatto dell’addio del Milan a Maldini?

—  

«Mi dispiace tantissimo, gli sono amico. So che è stato molto bravo».

Intanto, il calcio italiano ha fatto il suo Triplete al contrario: tre finali con Roma, Fiorentina e Inter. E tre sconfitte...

—  

«Solo un caso, l’aver perso tutte e tre le partite. Una ai rigori, una all’ultimo minuto, l’altra nel modo che ci siamo detti. Essere arrivati con tre squadre in finale è molto dignitoso. Il calcio italiano ha combattuto bene».

Andando oltre la finale di Istanbul, c’è qualcuno che starebbe bene nella squadra del Triplete?

—  

«Se dovessi indicare chi portare nella mia Inter, sceglierei Barella. Gli attaccanti sono bravi, ma credo che Eto’o e Milito fossero insuperabili».

Li ha rivisti, là in tribuna allo Stadio Olimpico Ataturk, i suoi ex giocatori?

—  

«Che bella immagine. Si è capito una volta di più il valore di quella squadra, che aveva qualcosa di grande da esprimere».

Siete tuttora in contatto?

—  

«Sì, li sento. Ogni tanto vengono a trovarmi, sono legati a me».

Tempo fa disse che della sua Inter oggi resta l’anima dei tifosi: li ha visti i 45mila davanti al maxischermo di San Siro?

—  

«Giù il cappello che per chi sa farsi vincere dalla propria passione».

Sarà più facile ripartire da qui, rispetto al 5 maggio?

—  

«Oggi resta la convinzione di aver fatto qualcosa di eccezionale, perché arrivare in finale di Coppa Campioni non capita spesso nella vita. Resta il merito e la fiducia a esso collegata. La squadra può ripartire, con più costanza, ma senza dover dimostrare niente e senza avere alcun complesso».

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