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C’era una volta il Var (alla fine ha vinto Buffon): Inter, ti ricordi quel comunicato?

L'editoriale di Sabine Bertagna

Sabine Bertagna

Non ci sono dubbi. I torti arbitrali che vedono come vittima l'Inter non fanno notizia. Un anno fa esordiva il Var in campionato. A Juventus-Cagliari, per dirne una, un pestone di Alex Sandro ignorato dal direttore di gara veniva rivisto al Var con conseguente inappuntabile decisione: rigore. Nella prima parte dello scorso campionato il Var diventa un vero e proprio protagonista (che fa discutere): rigori che mai nella vita l'arbitro avrebbe fischiato contro qualcuno trovano improvvisamente spazio. Rigori che mai nella vita l'arbitro avrebbe fischiato in favore di qualcuno finalmente vengono assegnati. Che i rigori contro abbiano innervosito principalmente (e molto) la Juventus è senz'altro solo una di quelle incredibili casualità che la vita e il calcio si riservano di regalarci. Diceva Buffon alla seconda di campionato: "Cosa penso del Var? Così non mi piace, se ne sta facendo un uso spropositato e sbagliato. Parto dal presupposto che bisogna liberare gli arbitri dal mostro, anche per poter valutare serenamente la bravura di un direttore di gara che si deve prendere la responsabilità delle decisioni in base alle percezioni del campo. Secondo me si sta facendo un uso spropositato del Var, sbagliato. Si diceva che andava utilizzato con parsimonia, in modo giusto e utile." In breve, se un anno fa dopo Inter-Roma (3-1) c'era una prima pagina così:

oggi, dopo Inter-Parma (0-1) non c'è traccia di nulla di lontanamente paragonabile ad una polemica. Le prima pagine si concentrano sulla crisi Inter, il "flop" Spalletti, l'effetto notte dei nerazzurri in questo inizio di campionato. La vittima Inter non interessa. Buffon e la Juventus, al contrario, un anno fa si erano presi la ribalta delle cronache. Con un microfono pronto a raccogliere lamentele, rimproveri, suggerimenti. Che con il tempo sono stati generosamente accolti.

Oggi parlare di Var fa ridere, anche se ci sarebbe da piangere. A chi potrà mai piacere un campionato seminato da errori marchiani, palesi ingiustizie, violazioni del regolamento? Sicuramente non a chi tutte queste cose le subisce. Il campionato dell'Inter è iniziato all'insegna della nuova rivoluzione. La rivoluzione del nuovo protocollo ha mortificato lo strumento, che nella scorsa stagione aveva aiutato a scoperchiare errori determinanti. A Sassuolo, dove i nerazzurri vengono sconfitti nella prima di campionato, si glissa su due evidenti rigori in favore della squadra di Spalletti. Contro il Parma, in casa, l'errore diventa gigantesco. Il fallo di mani di Dimarco (autore di una rete da annullare perché viziata da fuorigioco) grida vendetta. Rocchi, che è al Var, è forse svenuto? E visto che da anni viene definito uno dei migliori non resta che prendere atto del fatto che dietro a questa non decisione ci sia altro. In attesa di sentire direttamente dalla sua bocca giustificazioni plausibili. Episodi chirurgici, determinati e che - peggio di tutte le altre cose - non temono di essere smascherati. Non c'è dispiacere, nessuno chiede scusa, zero tentativi di motivare tali decisioni (se non in via ufficiosa sulla Rosea di oggi). Non ci si aspetta nessuna guerra all'orizzonte. E i giornali non la cavalcheranno al posto della vittima Inter. Meglio concentrarsi sui sorrisi di CR7, tra una nuova sfumatura di abbronzatura e il cross del figlio in una partitella.

Più che domandarsi come l'Inter debba tutelarsi e chiedere rispetto (e risposte) nelle giuste sedi la vera domanda è chi nell'Inter debba intraprendere questa battaglia. Finora la gestione di questi episodi, se indicativi di un'ingiustizia troppo palese, era stata presa in carico da Luciano Spalletti. Il tecnico, però, sa bene che quello è un terreno minato e che le dichiarazioni che gli vengono richieste nei post gara non possono prescindere dalle analisi di campo. Lo fa e lo ha fatto in un fisiologico ruolo di equilibrista, che non può che togliere forza alla battaglia. Dovrebbe occuparsene Javier Zanetti? Il CEO Antonello? Il ds Piero Ausilio? Il futuro presidente Steven Zhang? L'uscente Erik Thohir? La domanda vera è questa. Ieri, le dichiarazioni più forti, le ha rilasciate Samir Handanovic. Precise e lucide. Dichiarazioni che lasceranno il tempo che trovano perché lui è un portiere e non può certo prendersi in carico un attacco alle istituzioni o all'AIA. La società Inter ha fatto passi da gigante su tantissimi fronti, ma non ha ancora deciso come vuole porsi rispetto a chi le pesta i piedi. A chi, tra una svista e l'altra, potrebbe impedirle di conseguire quei risultati sportivi necessari a ristabilire la grandezza del blasone. Poi c'è quel comunicato, ormai datato 2014, che aveva ridato orgoglio e linfa vitale alla tifoseria interista mandando a stendere l'arroganza bianconera. In quel comunicato c'è tutto quello che è necessario sapere. Poche parole, al posto giusto. Alzare la voce affinché la realtà non venga nuovamente alterata. Alzarla con dignità e fermezza. Esigere risposte, rispetto, chiarezza. Smettendo di essere semplici spettatori di uno spettacolo diventato a tratti, per chi ama l'Inter, francamente inguardabile.

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