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Nainggolan, giocatore giusto al momento sbagliato. Avrei sempre voluto fargli questa domanda

Appena un anno dopo Radja ha chiuso la sua avventura nerazzurra

Sabine Bertagna

A Radja Nainggolan, poco più di un anno fa, avrei voluto fare una domanda ben precisa. Era una giornata di giugno milanese e dopo esserci sistemati in una coda ordinata per varcare le soglie del prestigioso Palazzo Parigi di Brera, noi giornalisti c'eravamo accomodati nella sala conferenze allestita per l'occasione. Era il giorno del Ninja. A posteriori potremmo dire che qualcosa di stonato si era intravisto già allora. L'accoglienza elegante, il contesto signorile come si dice qui a Milano, tutto era un grande Wow. Forse troppo. Radja aveva fatto capolino quasi intimidito, ruvido come è lui nei modi. Schietto, quello sempre. Avrei voluto chiedergli se davvero l'anno prima la tovaglia sulla quale aveva firmato un rinnovo sofferto con la Roma e sulla quale lui e Monchi avevano appoggiato il contratto fosse di colore nerazzurro. Invece gli chiesi se lui e Icardi si fossero già sentiti, all'alba di questa avventura dai risvolti incredibili e che li avrebbe rivisti uniti, questa volta nel segno dell'esclusione, appena un anno dopo. Ai tempi Mauro Icardi era ancora capitano. Quante cose sono cambiate, da allora. Alcune quasi precipitate.

Per cercare di raccontare quello che è stato il percorso di Radja all'Inter bisogna tornare proprio a quella firma con Monchi e alla presunta tovaglia nerazzurra. In quell'estate è racchiusa una chiave di lettura importante. Era quella l'estate del Ninja all'Inter. Spalletti lo aveva già sul taccuino dei desideri, per lui il centrocampista belga era sempre stata una priorità. Un guerriero da portare in battaglia. Un'iniezione di grinta, di voglia di vincere, un giocatore che poteva fare la differenza a centrocampo. Radja in quell'estate era scontento. Postava musi lunghi sui social (che come al solito cercavamo di interpretare) e sembrava avesse la testa già molto lontana dalla Roma. Invece lì rimase. E la sua stagione non fu affatto pessima. Tra serie A e Champions League giocò 3.580 minuti, segnò 6 gol e produsse 11 assist. Ebbe anche in quell'annata qualche problemino (infortunio al bicipite femorale e problemi agli adduttori). Poi successe una cosa che alla Roma è diventata ormai di ordinaria amministrazione. Il club decise che Radja andava ceduto. Lui non avrebbe voluto. Si innescò un gioco di parole non dette, sguardi torvi e recriminazioni. Nainggolan scelse l'Inter. Ma lo fece da animale ferito. Nel più profondo. Se ne andò come un innamorato respinto. Era bastato un anno per cambiare tutte le carte in tavola. E la tovaglia nerazzurra decise alla fine il suo destino.

A Milano c'era Spalletti, era stato lui a volerlo fortemente. E poi c'erano i tifosi dell'Inter, che lo accolsero con un entusiasmo alle stelle. Perché Radja è quel genere di giocatore, seppur nelle sue evidenti imperfezioni, che incarna la passione grezza per il calcio. La grinta in campo, la capacità di giocare per la squadra e di andare a scuoterla e poi - non secondario per nulla - il saper vivere le emozioni come fanno in fondo i tifosi normali. Le frasi di disprezzo nei confronti degli avversari bianconeri, gettate lì con naturalezza. Le risposte a tono sui social a chi oltrepassa il limite e lo insulta. Quel non tirarsi mai indietro. Perché Radja è come è e se lo prendi ti prendi anche le sbroccate, la voglia di divertirsi fuori dal campo, la serata fuori controllo che finisce sui social. Non ha filtri, nel bene e nel male. Ma paga per gli errori. E lo fa con una sua dignità.

Nella seconda parte della stagione nerazzurra il Ninja cerca di tornare ad essere decisivo e a sprazzi, complice uno stato di forma sempre un po' approssimativo, il belga lo è veramente. In campo, con la palla, come piace a lui. Ci sono gli acuti, i gol pesanti e bellissimi contro Sampdoria, Psv e Juventus. Nelle ultime partite è quasi sempre lui a scuotere un Mauro Icardi che si era autoescluso per 50 giorni. La sua grinta è contagiosa. Nonostante i numeri raccontino alla perfezione una stagione altalenante (2.443 minuti giocati tra serie A, CL, EL e Coppa Italia, 6 gol e 3 assist), fatta di assenze e di rimpianti, è suo il gol decisivo contro l'Empoli che regala all'Inter, per il secondo anno consecutivo l'accesso alla Champions League. Uno come Nainggolan lo vorresti sempre in squadra perché quando agli altri tremano le gambe lui se ne frega e magari ti butta dentro anche il pallone che conta. E come per tutte le cose metti tutto su una bilancia e ti chiedi se ne valesse davvero la pena. E a volte non sai bene cosa risponderti.

A distanza di un anno e proprio all'inizio del calciomercato estivo (arriverà mai il 2 settembre?) Radja Nainggolan viene dichiarato fuori dal progetto Inter insieme a Mauro Icardi. Parole che non lasciano spazio a ripensamenti, pronunciate prima dal dirigente nerazzurro Marotta e ribadite poi da Antonio Conte. Nonostante quelle dichiarazioni i tifosi si illudono che possa cambiare qualcosa (più per Radja che per Icardi). Il centrocampista belga non si risparmia e a Lugano in ritiro sembra in forma e tonico. I tifosi lo chiamano e lui, escluso dal progetto, non si risparmia nemmeno con loro. Firma autografi, si presta ai selfie, ringrazia per l'affetto che il popolo nerazzurro gli riserva (prima e dopo l'annuncio della malattia della moglie). Noi giornalisti apriamo uno spiraglio e scriviamo di una remota possibilità di reintegro con mille punti di domanda. Nainggolan è un giocatore che può piacere a Conte, ma alla fine il destino sembra già segnato. Non si può tornare indietro. Non più. E un anno dopo penso ancora a quella tovaglia. Al fatto che se fosse stata davvero nerazzurra, forse, i destini di un giocatore e della squadra che lo aveva desiderato tanto sarebbero stati diversi. O forse no. Intanto il Ninja se ne va proprio tra i desideri bruciati (i suoi e i nostri) e le promesse disattese. In una strana storia di amore corrisposto in maniera goffa, senza nessuna cattiveria di fondo. Qualcosa che alla fine non ci ha neanche troppo cambiati (né lui, né noi). O molto più probabilmente solo il giocatore giusto al momento sbagliato.

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