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Non lasciate l’Inter in mano ai Giuda: ecco perché cacciare Spalletti sarebbe nefasto

Nainggolan icona di un fallimento non prevedibile. Spalletti ha le sue colpe, ma non può pagare solo lui e in questo momento occorre lavorare in silenzio

Giovanni Montopoli

Parliamoci chiaro, se oggi qualunque tifoso nerazzurro avesse la possibilità di farlo, accompagnerebbe di persona Luciano Spalletti alla porta d'uscita dando al tecnico toscano il ben servito con tanto di “a mai più rivederci”.

L'umore, l'indomani dell'eliminazione in coppa Italia, è nero come la notte più buia della stagione. Fuori dalla Champions League, nel peggiore dei modi e con due match point a disposizione, una gioia negli ultimi due mesi (vittoria contro il Napoli) e poi il nulla. Due sconfitte (Lazio e Torino) due pareggi amarissimi (Chievo e Sassuolo) e l'ultimo gol su azione che risale, appunto, a quello messo a segno contro il Chievo Verona (ultimo in classifica).

Ci sono tutti gli elementi per salutare il tecnico e voltare pagina. Squadra scarica, obiettivi sfumati e quello che rimane di perseguibile – ad oggi – con questa tendenza, appare comunque impossibile da realizzare.

Spalletti è innegabilmente il principale responsabile di questa situazione, come è giusto che sia. Paga l'allenatore, paga chi ha il dovere di preparare giocatori e partita in maniera efficace. Non è tollerabile uscire dal campo contro il Torino e segnare all'attivo una sola conclusione verso la porta di Sirigu (Lautaro al 4° minuto). Non è più tollerabile assistere a 90 minuti di non gioco, 90 minuti di brividi per ogni incursione avversaria, 90 minuti di assenza di idee, costruzione, carattere, partecipazione, mancanza di quei giocatori che “avranno modo di riscattarsi”

NAINGGOLAN – Il ritornello che “farà vedere il suo valore” oramai ha stancato. Il belga, arrivato in pompa magna in estate, avrebbe dovuto rappresentare quel valore aggiunto che ad oggi, febbraio 2019, non è ancora pervenuto. Svogliato, remissivo, impacciato, concentrato su tutto tranne che su quello che dovrebbe fare. L'ex giallorosso evidentemente non ha ancora ben compreso il peso della maglia che indossa e nemmeno il rischio che sta facendo correre a quello che è considerato da tutti (e forse anche per lo stesso giocatore) il suo mentore. La riprova è nella stucchevole rincorsa nel rigore fallito ieri sera contro la Lazio. Un errore annunciato, testa tra le nuvole e palla calciata con violenza sotto la traversa, respinta da un Strakosha immobile sulla linea di porta; uno di quei rigori che si calciano (e si parano) forse al termine di una comune seduta di allenamento, della serie “chi sbaglia va a farsi la doccia”.

SCONTENTI – Giocatori (o giocatore) scontenti? Non c'è diritto di esser scontenti per loro, non in questo momento della stagione, non se indossi una maglia come quella dell'Inter. Gli scontenti, quelli reali, quelli che possono permettersi di esserlo, sono i tifosi, quelli che fanno battere il cuore del Meazza fino allo sfinimento, che ogni domenica alzano l'asticella per numero di presenti. Che si lotti per la Champions, per un piazzamento in campionato o per una gara di basso profilo, magari alle 12.00 di domenica. Loro hanno il sacrosanto diritto di essere scontenti e tecnico e giocatori il dovere professionale (se non vogliamo scomodare quello morale) di non alimentare questo sentimento

RIVOLUZIONE? - Da qui l'errore (e anche l'orrore) ad oggi sarebbe proprio quello dare il ben servito al tecnico nerazzurro. Errore drammatico, che farebbe piombare nuovamente i nerazzurri in quel limbo dal quale con un minimo di programmazione l'Inter sta cercando di uscire. Si faccia scudo attorno al tecnico ora più che mai e non per preservarlo da stampa e tifosi ma da chi dovrebbe tradurre in fatti quei dettami tattici studiati e ripetuti durante la settimana. Che non sia lo spogliatoio a dirigere gli umori. Servono professionisti, professionisti veri, che invece di pensare ad ascoltare sirene di club a loro congeniali si comportino in campo come l'etica professionale insegna, visto che cifre a 6 zeri ne volano parecchie.

GIU' DALLA TORRE – Tutti. Oggi nessuno può alzare la mano e chiedere un'indulgenza parziale per quanto visto negli ultimi mesi. Nessuno può essere salvato, il gruppo – ad oggi – condivide colpe che ha e che ha dimostrato di avere sul campo. Spetta a chi è stato investito dei gradi di leader guidare la nave oltre la burrasca, ci si rimbocchi le maniche e lo si faccia in silenzio, perchè di proclami a corredo di immagini ne abbiamo letti fin troppi, il tempo delle chiacchiere è stato fin troppo abusato, sulla rete e con dichiarazioni di facciata che non hanno fatto altro che alimentare l'insofferenza della piazza. Lavorare, sodo e in silenzio. Spalletti ha le sue colpe ma di santi in circolazione non ne vedo.

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