editoriale

Come in un rewind

Ma dai, non è che non lo sapevamo. Piccoli cedimenti li avevamo già registrati nella passata stagione. Poi avevamo trovato un equilibrio e per un po’ le cose erano tornate a girare di nuovo per il verso giusto. Ma mancava sempre qualcosa....

Sabine Bertagna

Ma dai, non è che non lo sapevamo. Piccoli cedimenti li avevamo già registrati nella passata stagione. Poi avevamo trovato un equilibrio e per un po' le cose erano tornate a girare di nuovo per il verso giusto. Ma mancava sempre qualcosa. Al traguardo arrivavamo con un quasi sorpasso, una quasi rimonta, finendo per classificarci come quasi capolista. In quella che era obiettivamente una naturale stagione di transizione avevamo collezionato un titulo mondiale, una Coppa Italia e una serie di quasi di proporzione più che dignitose. Quasi incoraggianti se avessimo avuto il coraggio di guardare in faccia la realtà. Forse a quest'ora staremmo parlando di altro.

Dicevamo che i segnali erano già tutti lì in fila. Guardateci, sembravano sussurrare. Tutto ebbe un inizio inaspettato. Leo che saluta e una panchina improvvisamente vuota. I giorni che seguirono furono molto simili a quelli di un reality alla ricerca della propria star. Quello non va bene, quell'altro non si può liberare, questo anche no. Bisogna scegliere, il ritiro è alle porte. E la società sceglie. Sceglie Gasperini, che viene immortalato mentre cammina in corso Vittorio Emanuele sotto l'insegna della catena Zara. Gli acquisti alla Montenapoleone sono ricordi lontani, sembra suggerire una didascalia invisibile.

Mentre il ritiro ha inizio, inizia la tiritera del calciomercato. Sneijder parte, ma no figuriamoci resta. Eto'o crede nel progetto del Daghestan, ma non si tratta di un'azione di beneficenza. Ci va a giocare. In mezzo la Supercoppa con gli occhi a mandorla, le amichevoli che vogliono dire poco, ma che possono anche dire molto, la fine del mercato. Facciamo un rewind e scopriamo che avremmo dovuto comprare un centrocampista di interdizione. Tiriamo le somme a fine agosto e nel carrello ci sono Zarate, Forlan e Poli. E il risultato non discute le innegabili qualità dei giocatori in questione. Prende semplicemente atto dei loro ruoli e dei reparti nerazzurri in sofferenza. Stranamente non coincidono.

Una squadra assemblata all'ultimo, tanti (troppi?) attaccanti, poco tempo per invertire la rotta. Sono queste le parole che escono dalla bocca di Gasp nel post-dramma turco. Ha passato quasi tutta la partita con una mano appoggiata sul tetto della panchina, quasi non volesse arrischiarsi a percorrere il rettangolo vicino al campo. Quello di sua competenza. L'inquietudine vibra per la prima volta nelle parole irritate rivolte ai giornalisti che si attaccano a quel maledetto modulo. Non sapete parlare di altro, sembra voler gridare un Gasp esasperato.

Adesso è facile puntare il dito. Ma le cose che non quadrano c'erano anche prima. Una squadra da svecchiare, innesti per un progetto a lungo termine, nuovi stimoli capaci di sopperire a qualsiasi difficoltà. E far sparire Gasp non servirà ad ottenere tutte queste cose. Ci aspetta, comunque vada la questione panchina, una stagione difficile. Forse non di transizione. Molte cause, tanti colpevoli. E un urgente bisogno che ci si rimbocchi le maniche al più presto. A partire da quel campo sul quale qualcuno si ostina a proiettare in maniera infantile le immagini di una gloriosa stagione, che appartiene da tempo al passato. E' ora di smetterla. Guardate le immagini della sconcertante Inter di ieri e mettetevi il cuore in pace. Oggi siamo così. Il grado di amore sconsiderato per questi colori non si assottiglierà. Ma se siete tifosi orfani del triplete è bene che lo sappiate. Quella è la porta. Se non potete sopportare tutto ciò, vi conviene sbattervela dietro alle spalle adesso. Ve lo dico per il vostro bene. Ma soprattutto per il bene dell'Inter.