editoriale

Il rigore di Handa

A Samir Handanovic non si può rimproverare nulla. Parate strepitose, rigori rimandati al mittente grazie ad un’invidiabile marchio di perfezione, concentrato di professionalità al 100%. Samir è uno serio che ama parlare meno dello stretto...

Sabine Bertagna

A Samir Handanovic non si può rimproverare nulla. Parate strepitose, rigori rimandati al mittente grazie ad un'invidiabile marchio di perfezione, concentrato di professionalità al 100%. Samir è uno serio che ama parlare meno dello stretto necessario. Su tutto mal tollera le domande a proposito di che cosa si provi a parare un rigore. Non c'è nulla da spiegare per chi sa cosa deve fare. Inutili svolazzi stilistici intorno a quello che è semplicemente un lavoro. Si fa, punto.

Come in tutte le cose i tifosi sono divisi. Un po' come lo erano al suo arrivo, quando c'era da salutare un certo Julio Cesar. Uno emotivamente devastante. Caratterialmente, il contrario di Samir. Espansivo, sentimentale e con una certa propensione alle lacrime. Al di là dell'affetto sconfinato che gli interisti avranno sempre per Julio, l'Inter, prendendo Samir, ci aveva visto giusto. E' andata a prendere un portiere con la P maiuscola. Uno che, nel caso succedesse quello che sembra debba succedere, rimpiangeremo senza ombra di dubbio.

Che cosa pensa la società in merito si evince dalle parole di Piero Ausilio, pronunciate in occasione di Inter-Verona: "Ci sono dei parametri da rispettare e lui li conosce. Sa quanto è stimato all'Inter e vedremo quello che succederà nelle prossime settimane". E per parametri si intende la distanza disegnata da una richiesta (3 milioni) che non si trova con l'offerta (2,5 milioni). E' nel diritto di ogni professionista cercare di migliorare la propria situazione lavorativa. Senza per questo venire giudicato. La società, dal canto suo, dovrà identificare dei giocatori sacrificabili senza mettere in pericolo il talento a sua disposizione. Una partita difficile, insomma. Ovunque la si osservi. 

Forse, però, Samir è insoddisfatto per altri motivi. Motivi che hanno fatto capolino diverse volte nelle frasi che esprimevano il (legittimo) desiderio di giocare in una squadra che vince. Perché, diciamoci la verità, stare all'Inter in questi ultimi anni non è stata né una passeggiata di salute, né una scampagnata allegra. Cambi di allenatore, sconfitte, anni zero. Poi il cambio di società, si ricomincia di nuovo tutto da capo, ancora sconfitte. C'è poco da ridere qui, come ha specificato anche Samir. Il punto è un altro. Le distanze date da un contratto o da uno stipendio possono essere ridotte. Ad una condizione. Che rimanere all'Inter significhi qualcosa. Che vincere con l'Inter significhi qualcosa. Con l'Inter e non con qualsiasi squadra. Solo questo.

Twitter @SBertagna