editoriale

L’Inter e i parafulmini

Appena una settimana fa, dopo l’arrivo di Zarate, si fantasticava su moduli, possibili applicazioni e grandi traguardi. Un ritrovato slancio di ottimismo, dopo un’estate di privazioni, era palpabile nell’ambiente interista, non solo tra i...

Lorenzo Roca

Appena una settimana fa, dopo l’arrivo di Zarate, si fantasticava su moduli, possibili applicazioni e grandi traguardi. Un ritrovato slancio di ottimismo, dopo un’estate di privazioni, era palpabile nell’ambiente interista, non solo tra i tifosi ma anche in società, almeno in superficie. Il consueto entusiasmo da primo giorno di scuola permeava l’inizio della campagna Scudetto nerazzurra. Invece eccoci qua, è bastata la prima giornata di campionato e un Palermo, apparentemente messo maluccio dopo l’esonero prima del via di Pioli e il solito guazzabuglio zampariniano, con tanta volontà e poco altro, per disintegrare sogni e speranze della corazzata Inter.Gasperini ne esce con le ossa rotte e oggi si ritrova già in bilico, due partite ufficiali e due sconfitte il suo ruolino di marcia da allenatore dell’Inter. Madre (o padre) di tutti i problemi: il modulo. Il 3-4-3 del tecnico di Grugliasco e le sue scelte tecniche, come quella di rilegare il goleador Pazzini e il quasi red devil Sneijder in panchina domenica sera, hanno scatenato un’autentica babilonia di rimostranze nei suoi confronti.Tali scelte ne hanno decretato la condanna unanime sul pubblico ara foculus. Certo, Gasperini, quale responsabile tecnico, ha indubbie colpe per la rovinosa conduzione tattica delle ultime partite (a Palermo più che contro il Milan), a patto però che non diventi il solito olocausto nerazzurro, che mondi da ogni responsabilità i vertici societari, che, in una fresca mattinata di quell’ormai lontanissimo 24 giugno 2011, lo hanno voluto alla guida delle truppe morattiane.Una scelta che è parsa più frutto delle rimanenze di bancarella che di una effettiva volontà progettuale. Una scelta dettata dalla fretta, una scelta forse “comoda”, che ha portato in nerazzurro un allenatore, pur con grandi qualità, abituato fino ad ora a palcoscenici più modesti e quindi disposto anche a “chinare il capo” di fronte a pressioni e imposizioni dall’alto.Si vocifera che persino nella puszta magiara di Hortobàgy siano edotti sul fatto che Gasperini basi il suo gioco sul modulo 3-4-3 e sulla spinta degli esterni. Come mai tali informazioni erano ignote alla dirigenza Inter? Al Genoa ha avuto fino a 15 esterni in una stagione, un’infinità. All’Inter quanti ne ha? Ha adottato poi il 4-4-2 solo in casi di estrema necessità dettata dagli infortuni (soprattutto nel 2009-2010). Ora sorge il dubbio, ma all’Inter sapevano chi fosse Gasperini? Si dirà, un allenatore deve sapersi adattare, verissimo. Ma suo curriculum narra di Crotone e Genoa, non Real e Manchester, ossia due (e non 34) società dove ha avuto il tempo e soprattutto la serenità mentale di impostare una filosofia tattica.Ergo se l’obiettivo era reclutare un allenatore che, pur non mettendo becco sul mercato, si “adattasse” alla rosa e avesse la sufficiente esperienza per far girare il motore nerazzurro da subito, Gasperini probabilmente non è l’uomo giusto.La nostra storia ci ha insegnato, troppe volte, quanto sia nocivo dare in pasto allenatori a tifosi e media, mentre potrebbe giovare la costruzione di un progetto tecnico a lungo termine, non basato solo sulla straripante personalità di un allenatore unico come Mourinho, il cui compito primario era quello di fungere da parafulmini, ma che presenti solide fondamenta. Non è più tempo di pavide fughe di Pescara attraverso frettolosi esoneri, ma è ora che la società cominci ad assumersi le sue responsabilità tecniche difendendo i suoi allenatori, sempre esposti al fuoco bifronte, mediatico e societario (Mou è un’eccezione, ma nemmeno troppo, all’inizio ebbe anche lui il suo bel da fare per imporsi sulla dirigenza nerazzurra). Qualora non fosse così, i futuri temporali potrebbero colpire mortalmente casa Inter, ormai scevra di parafulmini.