editoriale

LA NOSTRA INTERNAZIONALE

Non so che cosa cambierà nell’Inter. Non so quando cambierà. Adesso siamo tutti con il cuore in ebollizione, tra ricordi, paure, speranze, ambizioni accantonate e ora rispolverate di gran fretta. Erick Thohir per ora è un volto pienotto,...

Alessandro De Felice

Non so che cosa cambierà nell’Inter. Non so quando cambierà. Adesso siamo tutti con il cuore in ebollizione, tra ricordi, paure, speranze, ambizioni accantonate e ora rispolverate di gran fretta. Erick Thohir per ora è un volto pienotto, sembra goda di buona salute. Ha un sacco di soldi, questo è chiaro. E sicuramente è stato attirato in modo potente dall’Inter. Poteva pensare a qualsiasi altra squadra europea, volendo investire nel calcio.

Ha scelto invece la nostra. Ha dovuto trattare con un signore come Massimo Moratti, incontrarlo più volte. Si sarà fatto un’idea della società, dell’ambiente, dei tifosi, del calcio italiano, dei giornalisti. E poi, fra un po’, vedremo (forse) quali decisioni prenderà, quali uomini sceglierà per gestire il cambiamento, in che misura e in che modo sarà vicino alla squadra, e dunque a tutti noi, che siamo abituati a una gestione forse sin troppo familiare, che nel calcio contemporaneo non ha più spazio (forse).

Ognuno di noi, dunque, adesso proietta su Thohir la propria idea di Inter, pregi e difetti compresi. L’amore per questa squadra è quasi sempre viscerale, molto irrazionale, oppure basato su quella forma di razionalità che si avvicina all’esasperazione del perfezionismo e del primato. La vorremmo sempre vincente, sul campo e fuori dal campo. Siamo ancora ebbri, a tratti, del flusso di vittorie e di trofei degli anni che hanno preceduto e portato al triplete. Ci sembra impossibile e ingiusto che questo ciclo non solo si interrompa, ma quasi per una profezia mai scritta, il prossimo ciclo vincente si riapra quando saremo oltremodo invecchiati.

 Abbiamo un bisogno assoluto di certezze, di segnali forti, che l’Inter è ancora, qui e adesso, la grande squadra che ci ha fatto piangere di gioia a Madrid e non solo. Tutte queste aspettative si declinano poi nei diversi contesti: dalla scelta dell’allenatore all’acquisto (o alla vendita) dei giocatori; dalla scelta dei dirigenti alle battaglie contro la prostituzione intellettuale e il dominio mediatico degli altri; dai rapporti con i tifosi agli abbonamenti, allo stadio, persino agli oggetti di culto. Massimo Moratti ha rappresentato a lungo un certo modo di essere interisti, uno stile, un comportamento, persino nei difetti, e infatti ha diviso, nel giudizio, i suoi tifosi, pur avendo dalla sua parte il consenso della stragrande maggioranza del popolo nerazzurro.

Credo che sarà difficile con Thohir vivere emozioni analoghe, magari mi sbaglio. Eppure dobbiamo abbassare la tensione, dobbiamo provarci. Ormai è fatta. Ma diamogli tempo a Thohir. E anche a Moratti. Sarei felice, in realtà, di non accorgermi troppo del cambiamento. Vorrei però almeno una garanzia: che il lavoro di Inter Campus continui più di prima, e sia difeso nella sua purezza, dal momento che non è un vivaio, ma solo un modo per far crescere felici ragazzini di tutto il mondo che tirano calci a un pallone, uscendo per un giorno dalla miseria, e imparando il valore dell’onestà e dell’amicizia. Questa è la nostra Internazionale.